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Le terre di Cosa Nostra: i feudi divenuti strategici nell’agrigentino

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L’operazione “Eden 5 – Triokolà” costituisce l’esito di una complessa attività d’indagine svolta dal Reparto Operativo dei Carabinieri di Agrigento in ordine alle attività mafiose in provincia di Agrigento e, in particolare, in Sambuca di Sicilia, Ribera, Burgio, Sciacca e Caltabellotta, centri della provincia agrigentina diventati, nel corso degli ultimi anni, di fondamentale importanza. Trattasi della logica prosecuzione di quanto accertato nel corso di precedenti attività d’indagine sfociate nei procedimenti denominati “Avana” , “Akragas”, “Cupola”, “Itaca”, “Welcome Back” e “Scacco Matto”, che hanno permesso di ritenere provata l’esistenza dell’associazione mafiosa Cosa Nostra in Provincia di Agrigento e le sue principali dinamiche. I moduli operativi di Cosa Nostra sono quelli propri di un vero contropotere criminale dotato di un ben strutturato “ordinamento giuridico”, la cui osservanza è sempre assicurata mediante la previsione di sanzioni gravissime che comprendono anche la condanna a morte. Nonostante il decorso di circa un ventennio, i numerosi arresti e le successive condanne, purtroppo non può dirsi che Cosa Nostra sia stata sconfitta. Ed infatti, la storia processuale degli ultimi vent’anni successiva alla citata sentenza c.d. “Avana” ha permesso di accertare come la presenza di Cosa Nostra, articolata capillarmente sul territorio agrigentino, non conosca momenti di pausa e goda in taluni casi dell’appoggio e della tacita connivenza di alcuni strati di una popolazione rassegnata che appare ostile ad ogni mutamento di costumi e inerte dinanzi ai delitti più eclatanti.

Assodato che la parte di territorio della zona saccense – belicina della provincia agrigentina è sempre stata sotto il controllo diretto di Cosa Nostra è facile affermare che fino all’operazione Cupola, condotta nel luglio del 2002 dalla Polizia di Stato, gli equilibri pregressi erano rimasti immutati, sia per una scarsa incisività dei collaboratori, sia perché le tenui condanne inflitte a seguito del processo Avana avevano comportato la rimessione in libertà della maggior parte degli imputati che, forti di una detenzione carceraria priva di “tentennamenti”, avevano potuto riprendere i rapporti con i vecchi sodalizi mafiosi presenti sul territorio.

Le condanne conseguenti all’operazione Scacco Matto, hanno apportato apprezzabili ripercussioni sull’assetto associativo dell’area geografica di che trattasi. E’ chiaro, purtroppo, che i primi soggetti a trarre beneficio dalla riorganizzazione degli assetti siano stati quei sodali scampati alle ordinanze che hanno colpito i loro consociati e, come nel caso di Leo Sutera, coloro che nella fase da Cupola a Scacco Matto erano stati “posati”.

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Mafia, dolori e declino di “Zu” Totò Di Gangi

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L’INCHIESTA

 

Messina Denaro e il pentito Tuzzolino: il giallo delle foto a New York

 

BLITZ “EDEN 5, TRIOKOLA”

Dolori e declino di “Zu” Totò Di Gangi

Il sogno di Leo Sutera: l’ottavo mandamento e “contare” a Palermo

 

IL PROCESSO

 

Omicidio Vivacqua: la Procura appella la sentenza

 

L’ INTERVISTA

 

Generale Pellegrini: “Non dirò mai dei dialoghi notturni con falcone”

 

Il prof. Fiandaca garante dei diritti fondamentali dei detenuti

 

Conversazione con Giusi Carreca e Annamaria Tedesco

 

AKRAGAS

A Foggia cerca un miracolo

 

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“Mi chiamo Giuseppe Tuzzolino e agisco per conto di Matteo Messina Denaro”

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MAFIA

 

“Mi chiamo Giuseppe Tuzzolino e agisco per conto di Matteo Messina Denaro”

 

Tempesta di querele per l’architetto-pentito

 

Tuzzolino, le truffe a Palma e la mafia catanese

 

Fango a palate su molti: come ci si difende da quel pentito?

 

IL CASO

 

Le precisazioni del sindaco di Burgio Vito Ferrantelli

 

Ditta agrigentina potrà realizzare struttura turistica

 

POLITICA

 

Elezioni amministrative di primavera:  fermento nei partiti

 

L’ INTERVISTA

 

Pino Maniaci: “Attento, a questo punto non ti ammazza più la mafia ma l’antimafia”

 

Enzo Randazzo tra gli scrittori  del “Primo Borgo” d’Italia

 

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Internet: strumento di informazione libera e propaganda immensa, come lo usiamo?

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Grazie all’avvento e alla diffusione dei dispositivi mobili, un bambino nell’Africa odierna ha accesso a più informazioni del Presidente degli Stati Uniti di 15 anni fa.

Questa è solo una delle statistiche che dimostrano la diffusione degli smartphone.

Questi piccoli dispositivi hanno creato una letterale dipendenza negli esseri umani, tra social network, App e la possibilità di fare una “domanda” su Google ed ottenere la risposta su tutto.

Il che mi fa pensare visto che fino a poco tempo fa anche l’occidente non aveva accesso ad una informazione libera del tutto, ed ancora oggi si fa fatica ad avere accesso alle informazioni più confidenziali, anche nei casi che cercano di prevenire attacchi terroristici.

Durante il referendum, cosidetto “delle trivelle”, l’unica città siciliana a raggiungere il Quorum è stata Sciacca e non è un caso che Sinistra Italiana l’11 aprile ha condiviso un video su Facebook per invitare la cittadinanza a votare “si” proprio di fronte al bellissimo mare di Sciacca, un video semplice, ma di impatto perchè cirscoscritto ad una stretta realtà territoriale condito infine da uno  volto politico, ma genuino.

Internet è uno strumento di informazione libera e propaganda immensa.

Mi chiedo però se di questo strumento e delle sue possibilità ne stiamo facendo un uso corretto o se lo stesso, nelle nostre mani, sia più distruttivo di quello che sembra.

La verità è che oggi non siamo più persone, siamo utenti che hanno un prezzo attraverso i clic, purtroppo anche nei casi dell’informazione.

Nell’ultimo periodo abbiamo visto aumentare esponenzialmente le bufale e non sono mancati i casi in cui queste sembravano notizie vere creando una vera e propria devianza della realtà.

A me piace definire chi specula su questo tema “assassino dell’informazione pubblica”.

Ovviamente oltre le bufale ci sono tantissime testate giornalistiche serie che, attraverso Facebook, condividono continuamente notizie ed approfondimenti su tantissimi argomenti.

La cosa bella è avere la possibilità di sapere, conoscere ed essere più responsabili nelle nostre scelte dall’università al lavoro alla politica fino alla moda, la tecnologia e le principali tendenze.

Insomma abbiamo accesso all’infinito e il concetto ci sembra talmente semplice solo ed esclusivamente perché l’utilizzo e l’accesso è facile ed intuitivo.

Il punto della mia riflessione è dunque, uno strumento qualsiasi, per quanto intuitivo non significa che non necessità di una riflessione adeguata sull’utilizzo ed ovviamente con questo non voglio intendere che bisogna utilizzarlo come esclusiva fonte di aggiornamento professionale, poichè il bello di internet è anche l’intrattenimento.

Il problema risiede quando crediamo che l’intuito ci permette di definirci informati perchè quello che sta accadendo è che le bufale diventano notizia ed un “Meme” o una immagine, che fa riferimento ad un argomento, si trasforma in fonte di informazione.

Siamo arrivati al punto che leggere un paio di Tweet in trend topic ci faccia credere di essere preparati su un argomento e di saperne parlare.

Questa mancata voglia di approfondimento genera ignoranza, mancanza di competenze ed una sorta di disagio sociale che dovrebbe avere come punto di partenza la voglia di migliorarsi per davvero e, di certo, la strada per farlo non è quella che stiamo prendendo.

 Il motivo? Nessuno ne parla.

Piero Frenna
Piero Frenna

 Piero Frenna

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Vicenda Cupa: “Manca una regia regionale sul tema istruzione. Le colpe di chi sono?”

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Ad Agrigento ci piacciono le tradizioni. A noi ci piace la sicurezza di poterci lamentare di qualcosa, sempre. Probabilmente per questo, noi i problemi non li risolviamo mai.

Ne parliamo per un po’, litighiamo con qualcuno discutendone e poi accantoniamo il problema per qualche tempo. E ciclicamente svolgiamo così il nostro ruolo di cittadini attivi, soprattutto oggigiorno anche grazie all’ausilio dei social network.

Il problema della settimana è il Polo, chiusura o salvezza.

Mi occupo di questo argomento dal 2012 ed invero in questi 4 lunghi anni ne ho viste e sentite davvero tante.

Mi piace ricordare un onorevole regionale che promise di incatenarsi alla poltrona dell’Ars se la regione non concedendo il finanziamento , avesse chiuso il polo (forse non intendeva per protesta, a ben vedere); mi piace pensare a chi ha diretto il socio di maggioranza per diversi anni e non ha  contezza del debito contratto dal polo;  mi piacciono i convegni organizzati da alcuni esponenti dei partiti di maggioranza dove tutto si dice tranne perché si rischi la chiusura o come salvarlo; mi piacciono gi onorevoli che parlano di management inadeguato quando hanno scelto loro l’organo di vertice qualche anno addietro; mi piacciono anche gli organi di vertice del polo che come se non amministrassero la struttura si trovano ciclicamente ad elemosinare spicci tralasciando sempre di puntare l’attenzione sulla programmazione che dovrebbero produrre; mi piacciono “i più alti in grado” che promettono master ed università tematiche, cavalcando anche  l’onda dell’emergenza che vede protagonista il nostro territorio, e poi non succede nulla; e sulla stessa lunghezza d’onda, mi piacciono gli ex compagni di merende degli “alti in grado”, oggi riformisti, che promettono atenei specializzanti con corsi rivolti al management ed alla formazione dirigenziale e poi non intervengono neanche nel dibattito politico sulla chiusura del polo ed infine mi piacciono quelli che promettono agli studenti di andare a Palermo a scrivere una nuova legge regionale sul diritto allo studio e poi l’ars neanche legifera sulla riforma delle province.

Mi piacciono gli studenti che hanno ancora la forza di credere alle promesse che gli vengono rivolte o forse   la pazienza (che io non ho mai avuto) di supportare un referente (alle volte indifendibile) anche in questa circostanza.

Mi piace il consiglio comunale, troppo impegnato del disegnare nuove geografie consiliari per stare fisicamente al fianco dei ragazzi.

Mi piacciono i sindaci che cambiano posizione ed opinione a seconda del comune che amministrano. E ovviamente mi piacciono quelli contro tutto e tutti solo per fare polemica, solo per fare opposizione.

Insomma mi piace tutto di questa vicenda, che nella terra di Pirandello non trova neanche la dignità di essere affrontata con serietà e tecnicismo, richiamando le istituzioni al ruolo di guida strategica nell’amministrazione di un territorio.

La verità, ad opinione della scrivente, pare essere la seguente.

Il polo nacque da una giunta provinciale visionaria, quale sogno di sviluppo culturale ed economico di questo territorio. Quella giunta di professionisti, esponenti della politica degli onesti, durò solo una legislatura.

Ed il destino del Polo fu affidato ad altri che videro in quella struttura forse più una opportunità economica (per alcuni) che una opportunità di sviluppo economico sociale per l’intero territorio. Ed oggi ci ritroviamo con un debito con Unipa (?) che oscilla dai 3 ai 5 milioni di uro (?) secondo le fonti. Eh sì, perché anche Unipa batte cassa. Si, proprio quell’Unipa che ci definisce canale, perché tramite il polo le casse dell’ateneo palermitano vengono ingrassate di contributi pubblici e tasse universitarie; Si quell’Unipa che non è riuscita a garantire il diritto allo studio neanche con la residenza universitaria oggi struttura alberghiera, perché ad opinione di chi avrebbe dovuto gestire la struttura, ristrutturata con denaro pubblico, la gestione sarebbe stata antieconomica.

Il Polo universitario ha sede in una struttura che è di proprietà ella ex provincia. Anche il personale che vi lavora è dislocato dalla provincia ad eccezioni di qualche unità. Quindi i costi vivi della struttura dovrebbero sostanzialmente essere le utenze e i costi di trasferta dei docenti che dovrebbero essere retribuiti dall’ateneo palermitano.

Siamo sicuri che trattenendo le tasse universitarie presso il polo, non si riesca a mantenere la struttura?

Ed ancora noi oltre al contributo ordinario dei soci fondatori, che ammonta nel suo complesso a circa euro 750.000 , percepiamo contributi regionali  straordinari per circa un milione di euro. Siamo sicuri che i soldi non ci siano?

Ed ancora, ma nessun prova un moto di rabbia nel vedere due enti pubblici, che hanno il medesimo scopo, formare le giovani menti, farsi la guerra per quattro spicci, soldi che ad ogni modo vengono sempre dallo stesso “papà” cioè soldi pubblici, cioè dalle nostre tasche?

Mentre Enna riusciva a prendere il treno del riconoscimento quale ateneo parificato ( ed oggi usufruisce anche di contributi regionali per circa 2 milioni di euro), noi giocavamo a nominare presidenti di spessore internazionale per rilanciare il polo. La storia ci mostra con prepotenza le conseguenze dell’operato dei politici ennesi e dei nostri. Le colpe adesso di chi sono.

Concludo questo lungo sfogo, che di tecnico, sottolineo, ha ben poco, per dire: come avrete ben capito i soldi ci sono o comunque si reperiscono con facilità. Ma i soldi si trovano quando vi è un interesse ad investire in un settore.  Anche i problemi statutari legati alla trasformazione delle province in liberi consorzi sono di poco momento avendo noi recepito la legge Del Rio.

L’unica e sola verità è che manca una regia regionale sul tema istruzione.

I poli decentrati (Agrigento e Trapani) possono essere una risorsa ma in un contesto di concertazione tra atenei, volto ad evitare corsi di laurea doppione ed a legare la formazione al territorio. I poli decentrati sarebbero potuti entrare nel progetto dei poli tecnici avviato qualche anno fa dall’ex assessore Scilabra.

La verità è che bisogna iniziare ad individuare percorsi che dallo studio portino alla formazione pratica del discente, quindi al lavoro. Un lavoro spendibile anche su questo territorio. E tutto ciò non può che svilupparsi in sinergia tra i vari atenei, le imprese, gli incubatori di impresa, le camere di commercio, i comuni, la regione. Ma finchè nessun referente politico inizierà una discussione sul polo individuando quali figure professionali possano essere coerenti con questo territorio , Finche’ l’università di Palermo continuerà a fare da padre padrone sulla pelle degli studenti, finchè le minacce più gravi rivolte dalla deputazione locale al governo regionale,  saranno quelle di incatenarsi all’ars. , bè finchè la discussione politica non riuscirà a liberarsi da questo triste scenario in cui la costringono a sedimentare,  non vi sarà alcuna speranza di miglioramento.

Con mai persa speranza, Sveglia Agrigento!.

Roberta Zicari
Avv. Roberta Zicari

Viale della Vittoria, 293

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Uber, AirBnB, Blablacar: conosciamo i vantaggi della Sharing Economy

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Uber, AirBnB, Blablacar e potrei continuare ancora per molto, sono solo esempi di multinazionali che fino a qualche anno fa nemmeno potevamo immaginare ed oggi valgono miliardi di dollari. Il loro funzionamento di base è uguale, si tratta di aziende che hanno adottato il modello della Sharing Economy, cioè l’economia della condivisione.

La società odierna attraversa un periodo dove il surplus dei beni e la carenza di lavoro hanno portato le persone a condividere case, auto, cibo.

La Sharing Economy parte proprio da questo principio, “ho qualcosa e lo condivido” avendo anche la possibilità di guadagnare e creare ricchezza.

Gli aspetti positivi della Sharing Economy sono tantissimi.

Airbnb, ad esempio, è un fenomeno che nel 2015 ha portato 3,4 miliardi (0,22% del PIL) all’economia italiana e lo stesso ha creato l’equivalente di quasi 100 mila posti di lavoro.

Nonostante gli aspetti fiscali siano ancora da chiarire, l’Italia sta cercando di regolamentarne l’attività, queste recenti piattaforme WEB hanno rivoluzionato il mercato ed il modo di muoversi, viaggiare e mangiare.

Oltre alla creazione di posti di lavoro, il risparmio economico e la generazione di ricchezza si riduce uno dei problemi che di questi tempi è sempre più una necessità, l’impatto ambientale.

Condividere l’auto o l’ufficio infatti diminuisce l’emissione di gas, l’usura ed il bisogno dei beni mobili ed immobili.

Pensiamo ad esempio ad uno spazio lavorativo: una stanza per ognuno di noi andrebbe riscaldata in inverno e raffreddata durante i mesi più caldi, ma se invece di una stanza a testa potessimo condividere gli stessi spazi sicuramente l’inquinamento dovuto al riscaldamento o alla climatizzazione si ridurrebbe drasticamente, e con lui si ridurrebbero anche i relativi costi. Ora applichiamo questa politica ai nostri spostamenti abituali: ogni mattina ognuno di noi prende la propria auto per andare al lavoro, si immerge nel traffico, perde tanto tempo e magari arriva in ufficio già nervoso. Attraverso la Sharing Economy si riiduce il numero di auto in circolazione e di conseguenza l’inquinamento abbassando le emissioni di CO2. Senza considerare il già citato risparmio economico, la riduzione dello stress e l’incremento del benessere personale.

Per molti italiani, il 2016 è l’anno della Sharing Economy.

Io questa sera scelgo di cenare attraverso “Gnammo” condividendo un cuoco con gente che non conosco.

Fare le cose vecchie in modo nuovo – questa è innovazione.”

Piero Frenna
Piero Frenna

Piero Frenna

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Librino: un quartiere fertile per l’illegalità, bisogna offrire una speranza

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Serrata continua l’attività del personale del Commissariato di Librino unitamente al Reparto Prevenzione Crimine “Sicilia Orientale”, voluta dal Questore Marcello Cardona, mirata, soprattutto, alla prevenzione dello spaccio di sostanze stupefacenti e al ripristino della legalità nel quartiere Librino.

Questa volta i controlli si sono concentrati in viale Nitta 12, ove insistono più palazzine con annessi garage al piano terra, il tutto circondato da zone di terreno incolto ed abbandonato, condizione, che rende difficile l’individuazione di ogni tipo d’illegalità.

L’occhio attento degli uomini del Commissariato Librino consentiva di rinvenire, occultata ad arte all’interno di un vano scale del citato viale Nitta 12, una busta contenente 113 dosi di sostanza stupefacenti del tipo marjuana.

Il predetto controllo esteso anche alle altre palazzine, a conferma dell’interscambio professionale e di ruoli fra i residenti, permetteva di sequestrare, altresì, una grossa quantità di materiale per il confezionamento di sostanze stupefacenti fra cui bustine in cellophane e bilancini di precisione.

Al completamento del servizio, non potevano mancare gli ormai rituali controlli di regolarità degli allacci alla rete idrica ed elettriche che, come di consueto hanno portato numerose denunce a piede libero.

Inoltre, veniva controllato sotto il profilo amministrativo un chiosco bar del quartiere, riscontrando violazioni per occupazione di suolo pubblico, nella circostanza contravvenzionate dalla squadra “Annona” della Polizia Locale.

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I racconti inconfessabili dei pentiti Tuzzolino e Di Gati

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MAFIA, POLITICA E AFFARI

I racconti inconfessabili dei pentiti Tuzzolino e Di Gati

L’architetto svela come viene gestito il traffico di droga nelle province di Agrigento, Trapani e Catania

L’ex barbiere di Racalmuto narra di appalti, mazzette e … rigassificatore

Inchiesta “Icaro”: arrestato Baroncelli

Il mondo dorato dell’anti-mafia

IL CASO

Cupa: Lillo Firetto batte i pugni

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Ritorno nella Palma segreta del Gattopardo e della Beata Corbera (fotogallery)

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Chiesa di Santa Maria che si scorge dalle grate del monastero
Chiesa di Santa Maria che si scorge dalle grate del monastero
Cilizio di piombo
Cilizio di piombo
Dipinto di scuola caravaggesca
Dipinto di scuola caravaggesca
Dovunque crocifissi sanguinanti
Dovunque crocifissi sanguinanti

Fa male anche oggi leggere nelle cronache  che  gruppi di turisti  recatisi a Palma sulle orme del Gattopardo per visitare il Convento delle Benedettine se ne siano dovuti tornare indietro senza riuscire nell’intento e talora addirittura dopo avere assaggiato malamente i famosi dolcetti delle monache.

Una chiusura ai visitatori che non ha mai deposto bene per il turismo siciliano e per la nostra  tanto decantata vocazione turistica. Da qualche anno, dal 2014,  l’Archeoclub di Palma, presidente il dottor Fiaccabrino  e il comune con il sindaco Amato  stanno cercando di correre ai ripari con la collaborazione del Fondo edifici di culto del ministero degli Interni, della Prefettura, della Soprintendenza ai Beni culturali, della Curia arcivescovile, dell’associazione Beata Corbera, delle stesse monache di clausura e del Gruppo Agesci Palma 1. E così anche quest’anno dal 21 al 22 maggio il convento delle Benedettine è stato aperto al pubblico  accorso numeroso.

Il coro delle benedettine
Il coro delle benedettine
Il giaciglio nella cella della Beata
Il giaciglio nella cella della Beata
Il sarcofago della Beata
Il sarcofago della Beata
La pietra scagliata dal diavolo contro la Beata
La pietra scagliata dal diavolo contro la Beata

L’eco della riapertura si è avuta nei media soprattutto con un lungo reportage sul settimanale “Lettura” allegato la scorsa  domenica al “Corriere della Sera”. Sarà magari per le leggende che circondano la storia del convento, sarà curiosità o bisogno di conoscenza, occorre prendere atto che in quelle stanze conventuali si respira a pieni polmoni l’odore dei secoli che mescolato alla vertigine del barocco e al delirio mistico dei Lampedusa produce scossoni emotivi e spirituali non da poco.

Ad accogliere i visitatori una perfetta organizzazione tecnica formata da Andrea Abruzzo, Filippo Affronti, Peppuccio Cacciatore, Sandro Giganti, Pietro Fiaccabrino, Maurilio Lombardo, Enzo Scarnà, Calogero Puzzo, Gianni Tannorella. Le foto sono proibite, tranne che per i cronisti, e ci è stato persino vietato di fotografare i dolciumi che fanno bella mostra  di se su un banchetto posto al termine della visita in uno strepitoso giardinetto interno dove troneggia la statua di san Benedetto. Un vezzo proibitivo che forse vuole alimentare la vendita dei libri sul convento e che impedisce ad altri di godere in privato la visione di autentici tesori d’arte che sono disseminati tra le stanze, le cappelle e i corridoi.

La vertigine del barocco nella chiesa del convento
La vertigine del barocco nella chiesa del convento
Lettere vergate dalla Beata Corbera
Lettere vergate dalla Beata Corbera
Lo scrittoio nella cella
Lo scrittoio nella cella
Piccola cappella
Piccola cappella

In tempi dove tutti si possiede uno smartphone, reprimere un bisogno di conoscenza, una traccia di ricordo, ci appare molto provinciale. Come tutti ormai sappiamo, il decreto cultura fortemente voluto dal ministro Dario Franceschini ha abolito il divieto di scattare fotografie all’interno dei musei, a certe condizioni (assenza di scopo di lucro, immagini realizzate per fruizione personale, e via dicendo).

L’abolizione del divieto ha scatenato, com’era prevedibile, entusiasmi a non finire. Ma, come spesso accade quando si tratta di cultura, l’Italia sconta un ritardo culturale nei confronti del resto del mondo e il caso delle foto nei musei non costituisce un’eccezione.  Siete ancora in tempo fino a domenica per visitare il monastero delle suore Benedettine di Palma di Montechiaro e fra le segnalazioni ci vorremmo inserire artisti come  Provenzani, la bottega di Filippo Randazzo, l’irripetibile  grandezza delle maestranze siciliane, Ottavio Volante e ignoti pittori che vanno a comporre una enorme pinacoteca ai tempi dell’antenato del Gattopardo e di sua figlia, l’agrigentina  beata suor Crocifissa.

Quadro esposto
Quadro esposto
Un crocefisso squamato e tarlato
Un crocefisso squamato e tarlato
Una delle cappelle
Una delle cappelle
Uno dei quadri esposti
Uno dei quadri esposti
Vista dall'altare maggiore
Vista dall’altare maggiore

Un tempo quello (l’inaugurazione del monastero avvenne nel 1659) durante il quale non si spegneva ancora  l’eco dei Borgia e degli ultimi orrori della Inquisizione di cui rimase vittima la stessa suor Crocifissa indagata per le sue crisi mistiche e le sue estasi (una delle quali durata 49 ore) che insospettirono le gerarchie ecclesiastiche. Oggi si può visitare la stanzetta della Beata, il minuscolo giaciglio, uno scrittoio, le scarpe, qualche indumento in vetrina, la “lettera del diavolo” e il cilicio. Il un’altra stanza attigua riposano in una grande urna dorata le sue spoglie mortali e sul davanzale di una  grata-finestra fa bella mostra di se la grossa pietra che, secondo le storie, il diavolo le lanciò contro. All’incanto dei soffitti lignei, della trama delle figure lignee scolpite, ai pavimenti di ceramica, ai paliotti ricamati con fili d’oro e altri con fili policromi e grani di corallo, fanno da controcanto atrocissimi Crocifissi di legno tarlato e squamato, quasi una decomposizione e corruzione della carne. L’invasione della dolcezza ti sorprende solo all’uscita quando, oltrepassando uno splendido giardinetto interno con l’effigie di san Benedetto, ti ritrovi dinanzi a un tavolinetto dove ben ordinati sono in mostra i famosi  dolcetti monacali che ci è stato proibito fotografare come se la foto rubasse i segreti della cucina conventuale e dei  prodotti che si fanno risalire al periodo arabo e poi perfezionati nell’”ora et labora” delle clausure.

La visita che dura 30 minuti non consente al visitatore di chiedere se ci sia ancora suor Nazarena specialista in “marturana, biscotti ricci, bocconetti, pasta reale, agnelli pasquali, buccellati, ciambelloni, mastazzoli, paste nuove, cuori di pasta reale e minni di virgini”.

Da quest’ultima prelibatezza lo scrittore sambucese Alfonso Di Giovanna ne trasse una gustosa (manco a dirlo) e intrigante  novella nella raccolta  “Per modo di dire”.

Testo e fotogallery di Diego Romeo

 

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Caso Maniaci: da stasera può tornare a Partinico, errore di cancelliere fa saltare provvedimento

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L’errore di un cancelliere del tribunale del riesame, un difetto,  fa decadere il divieto di soggiorno per Pino Maniaci, il direttore di Telejato. Alla mezzanotte del 26 maggio potrà tornare a Partinico. Un epilogo a sorpresa. Ai giudici del tribunale del riesame non è rimasto che prendere atto del clamoroso errore rilevato dai legali di Maniaci, gli avvocati Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino. 

A Pino Maniaci sia consentito di tornare a casa sua e al suo lavoro a Telejato”, avevano detto in aula i legali: “I termini del divieto di dimora nelle province di Trapani e Palermo vanno a scadere, l’udienza di Riesame era fissata per ieri ma è saltata a causa di un errore di notifica, dunque l’ordinanza cautelare dovrebbe essere dichiarata decaduta a giorni”. Per i legali del direttore di Telejato accusato di estorsione, quell’errore del cancelliere sarebbe stato addirittura un segno: “La giustizia bendata segue percorsi a volte bizzarri e presenta un’altra occasione per essere giusti verso Maniaci, un segnale da seguire sulla strada della giustizia”.

D’altra parte – avevano aggiunto Ingroia e Parrino – Maniaci è stato già ascoltato dai magistrati, ai quali ha fornito risposte e spiegazioni esaurienti in merito ai fatti che gli vengono contestati. Per questo, depositeremo al gip un’istanza di revoca della misura cautelare che gli consenta di tornare a casa e ad esercitare la sua attività di giornalista, visto che tra qualche giorno la misura comunque sarebbe decaduta“.

Ma contro Maniaci restano le accuse della procura, ribadite dal gip Fernando Sestito, che già aveva rigettato un’istanza della difesa scrivendo che non erano emersi elementi di novità da “incidere, allo stato delle attuali acquisizioni investigative, sulla sostanza del quadro di gravità indiziaria”.

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Operazione Icaro, la nuova mafia dell’agrigentino: arresti, alleanze e progetti

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MAFIA

Corte di Cassazione spedisce in carcere 8 indagati del blitz ‘Icaro': decimato il clan Marrella

 

Infiltrato in Cosa nostra per scoprire gli assassini del padre

 

Dalle ceneri del blitz “Nuova cupola” nasce l’operazione “Icaro”: l’atto d’accusa

 

Baldo: “Tuzzolino? Cocainomane e frequentatore di prostitute. Ha pure picchiato mia figlia”

 

 

L’INTERVISTA

 

Alfonso Gueli: “Fuggire dalla maledetta città sarà per un’altra volta”

 

IL CASO

 

Una storia pazzesca nel mondo degli appalti

 

Il G7 ad Agrigento non era un sogno, adesso lo è…

 

La raccolta differenziata, questa sconosciuta

 

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Agrigento: cosa sarà mai questa raccolta differenziata?

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Tutti i comuni d’Italia sono obbligati per legge ad effettuare la raccolta differenziata. Ciò comporta che, da un lato essi debbano attuare una gestione che privilegi l’efficienza e l’economicità del servizio, dall’altro che ovviamente la cittadinanza collabori alla raccolta, preparandosi già a monte a dividere in base alle tipologie i rifiuti.

Ad Agrigento, città che storicamente si è sempre mostrata allergica ai cambiamenti, il servizio di raccolta differenziata sta vivendo una fase sperimentale che, a dirla tutta, al momento non ha portato ad alcun risultato significativo. Era il 2 Febbraio 2016 quando, su disposizione dell’architetto Gaetano Greco, dirigente del settore V, veniva lanciato il servizio con il metodo porta a porta. La raccolta, però, ha fin da subito stentato a partire e così è stato necessario posticipare la data di inizio del servizio fondamentalmente per mancanza di preparazione.

Dunque, dopo un primo rinvio, si è partiti il 16 di Marzo, un mese e mezzo dopo la data ufficiale. Si è deciso di partire dal popoloso quartiere di Fontanelle, periferia a nord di Agrigento ad alta densità di abitanti. Proprio questa scelta, ovvero partire da un quartiere che presenta queste caratteristiche, ha sicuramente influito sull’efficienza dello stesso: in fretta e furia sono stati tolti dalle strade tutti i contenitori della frazione di Agrigento, imponendo un effettivo cambio di abitudine nella cittadinanza. Problema risolto?

Niente affatto. Una mancata strategia comunicativa che sarebbe stata necessaria coltivare e diffondere nel tempo ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale in questi intoppi. A questo, ovviamente, bisogna aggiungere anche una forte resistenza degli abitanti che, diciamocela tutta, non hanno nessuna voglia di attuare quello che, ricordiamo, non è un invito ma un obbligo di legge. Ritornando a Fontanelle, inoltre, bisogna anche sottolineare una forte contraddizione: il Comune si è adoperato, in fretta e furia, a sgomberare le strade di tutti i cassonetti ma, qualcuno è stato lasciato. Perché? Trovare risposta a questo elementare quesito appare oggi molto difficile Basti pensare che, anche la presenza di pochi contenitori, rappresentano ovviamente una valvola di sfogo per i cittadini che non hanno proprio voglia di fare questa benedetta differenziata. Risultato? Un assist clamoroso all’inciviltà. Basti farsi un giro per Fontanelle e guardare con i propri occhi quei due, al massimo tre, contenitori stracolmi in qualsiasi ora del giorno.

Uno strumento per combattere questa forma di ostruzionismo il Comune lo ha di certo: la sanzione. Ma qui si aprirebbe un’altra parentesi. Quante persone sono state effettivamente multate e sanzionate per queste mancanze? Se la risposta, come prevedo, sia a ribasso sorgerebbe spontanea qualche perplessità. La polizia locale ha istruzioni a riguardo? Se l’amministrazione fosse veramente sensibile al problema si potrebbe dispiegare, anche per il solo fatto di creare un monito, un segnale, un precedente, la Polizia Locale a fare multe non soltanto a San Leone la domenica pomeriggio. Cominciamo con il sanzionare anche la diseducazione ambientale. Primo passo di civiltà.

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Altra ecatombe di smentite travolge l’architetto pentito Tuzzolino

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Un’altra ecatombe di smentite, alcune davvero convincenti, si abbatte sul pentito Giuseppe Tuzzolino che ha già deposto nel processo d’appello a carico dell’ex governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa che si è tenuto in un aula bunker del carcere di Bicocca a Catania.

Dopo le sue dichiarazioni rese in pubblica udienza lo scorso 11 maggio, oggi sono stati chiamati a deporre quanti sono stati tirati in ballo dall’architetto-pentito. Già la scorsa settimana avevano deposto l’architetto Calogero Baldo, ex suocero di Tuzzolino, accusato di plurime nefandezze e l’ing. Giovanni Romiti della Politecnica srl che avevano smentito in toto il collaborante. Laconico il giudizio di Baldo: “E’ un cocainomane frequentatore di prostitute”.

Oggi è stata la volta del segretario generale della Regione Siciliana, Patrizia Monterosso accusato di intascare tangenti e di far parte della massoneria deviata; l’on. Roberto Di Mauro tirato in ballo per vicende di appalti e di organizzare riunioni politiche con i mafiosi; l’ex presidente della Provincia di Agrigento, Eugenio D’Orsi , il medico Lorenzo Vella di Palma di Montechiaro accusato di organizzare riunioni politiche in favore di Lombardo con esponenti di mafia e stidda, e Leonardo Rinaldi dirigente di una società dell’Enel della Green power, ma per Tuzzolino, un agente dei servizi segreti vicino a Raffaele Lombardo destinatario di una tangente da 400 mila euro per un appalto.

Tutti hanno massacrato il pentito davanti ai giudici del Tribunale (presieduto da Tiziana Carrubba) ed ai pm Agata Santonocito e Sabrina Gambino.

A muovere le danze sono stati gli avvocati di Lombardo, Filippo Dinacci e Alessandro Benedetti che hanno interrogato i testimoni (pubblicheremo i relativi verbali appena disponibili).

Patrizia Monterosso in particolare ha azzerato le dichiarazioni del collaborante affermando di non conoscere Tuzzolino, di non averlo mai incontrato insieme al suocero, di non essere massone e di aver sempre denunciato massoneria e malaffare.

Sulla stessa lunghezza d’onda, l’on. Roberto Di Mauro, attuale deputato regionale, leader dei lombardiani in provincia di Agrigento che, carte alla mano, ha ricostruito i percorsi degli appalti per i quali è stato tirato in ballo, evidenziando il totale mendacio del teste-pentito. Anche Eugenio D’Orsi ha smentito Tuzzolino così come il medico Lorenzo Vella e il dirigente Enel Rinaldi.

Un massacro sotto il profilo della credibilità dell’architetto à collaboratore di giustizia la cui attendibilità verrà nuovamente messa a confronto con altri due testimoni eccellenti: Giuseppe Arnone, già vicesindaco di Licata e Giosuè Sciabica, cognato di Tuzzolino, oggi entrambi regolarmente citati ma non presenti perché ammalati.

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Baldo demolisce pentito Tuzzolino: “Scassinava le macchinette del caffè e aveva pronto un Piano B”

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La mafia riorganizzata della Valle del Belice agli ordini di Pietro Campo: i nuovi affiliati

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