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Mafia, blitz “Icaro”: il Tribunale del Riesame vuole in carcere metà degli indagati

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L’operazione antimafia “Icaro” del dicembre scorso, con provvedimento cautelare richiesto dai Pubblici ministeri Maurizio Scalia, Rita Fulantelli e Emanuele Ravaglioli, della Direzione distrettuale antimafia ed accolto dal Gip del Tribunale di Palermo,  Giangaspare Camerini, aveva portato in carcere sei persone: Antonino Iacono, 61 anni, indicato come il capo della “famiglia” di Agrigento; Francesco Messina, 58 anni, ritenuto il capo della “famiglia” di Porto Empedocle; Francesco Capizzi, inteso “il milanese”, 50 anni; Francesco Tarantino, inteso “Paolo”, 29 anni; Gioacchino Cimino, 61 anni, e Giuseppe Picillo, 53 anni, di Favara. Per altre quattro persone il Gip aveva disposto invece gli arresti domiciliari: Pietro Campo, 63 anni, di Santa Margherita Belice; Giacomo La Sala, 47 anni, anche lui di Santa Margherita Belice e per Emanuele Riggio, 45 anni, di Monreale; obbligo di presentazione alla Pg, invece, per Vito Campisi, 45 anni, e Antonino Grimaldi, 49 anni, entrambi di Cattolica Eraclea; Santo Interrante, 34 anni, e Gaspare Nilo Secolonovo, 47 anni, di Santa Margherita Belice.

Ma la richiesta di misura cautelare riguardava ancora un’altra ventina di persone ma il Gip non aveva accolto. Immediato il ricorso al Tribunale del Riesame di Palermo che ha sostanzialmente ribaltato le conclusioni del Giudice per le indagini preliminari. Gran parte dei ricorsi sono stati accolti, dando lustro alla ricostruzione investigativa della Squadra mobile di Agrigento ed al lavoro del Pm della Direzione distrettuale di Palermo, e adesso 14 indagati rischiano di finire in galera se non ci sarà pronunciamento differente da parte della Suprema Corte. Dunque, il Tribunale del Riesame di Palermo (diverse composizioni di collegio) ha accolto i ricorsi che miravano alla cattura di molti degli indagati perchè ritenuti organici in Cosa nostra, disponendo in difformità di quanto disposto dal Gip per: Tommaso Baroncelli, 40 anni, di Santa Margherita Belice; Vito Campisi, 45 anni, di Cattolica Eraclea; Pietro Campo, 63 anni, di Santa Margherita Belice, Mauro Capizzi, 47 anni, di Ribera; Roberto Carobene, 38 anni, di Motta Sant’Anastasia (accolto obbligo di dimora); Diego Grassadonia, 54 anni, di Cianciana; Antonino Grimaldi, 55 anni, di Cattolica Eraclea; Santo Interrante, 34 anni, di Santa Margherita Belice; Giacomo La Sala,  47 anni, di Santa Margherita Belice; Vincenzo Marrella, 41 anni, di Montallegro; Vincenzo Marrella, 60 anni, di Montallegro; Gaspare Nilo Secolonovo, 47 anni, di Santa Margherita Belice; Ciro Tornatore, 80 anni, di Cianciana; Francesco Tortorici, 36 anni, di Montallegro. Tutti, tranne Carobene, finiranno dietro le sbarre, se gli inevitabili quanto provvidenziali ricorsi (che bloccano al momento la cattura) degli avvocati difensori non coglieranno nel segno e la Corte di Cassazione confermerà quanto deciso dal “Riesame”.

Con l’operazione “Icaro”, gli investigatori hanno verificato come non si sia mai interrotto lo storico sodalizio tra “Cosa Nostra” palermitana ed agrigentina, così come dimostrato dai documentati summit andati in scena nelle campagne agrigentine tra ruderi ed appezzamenti di terreno.

Le indagini hanno investito il capoluogo agrigentino e la zona occidentale di Agrigento, permettendo di ricostruire la pianta organica dell’associazione mafiosa “Cosa Nostra” in quel territorio ed, in particolare, di raccogliere numerosi elementi indiziari a carico del capo famiglia della cosca di Agrigento,  Antonino Iacono, agrigentino, cl.  1954 e del capo famiglia della cosca di Porto Empedocle, Francesco Messina, nato a Porto Empedocle, cl.1957. Questi ultimi, in particolare, operavano con metodo mafioso ed estorsivo per condizionare l’attività di ristrutturazione del rigassificatore di Porto Empodecle. Tutti, comunque, ritenuti responsabili dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, illegale detenzione di armi, detenzione di sostanze stupefacenti.

Dalle risultanze investigative, oltre alla supremazia dei due “capifamiglia”, sono emersi i ruoli di spicco di numerosi soggetti organici all’associazione, quali Giuseppe Piccillo, uomo di fiducia di Iacono, delegato all’organizzazione di incontri con esponenti mafiosi di altre famiglie locali e per conto del quale si è reso responsabile di più azioni intimidatorie, finalizzate ad estorcere il pizzo a numerose imprese locali attive nel settore del “calcestruzzo”; Francesco Capizzi e Francesco Tarantino,  organici alla famiglia mafiosa di “Porto Empedocle” e soggetti di fiducia di Francesco Messina, per conto del quale si sono resi responsabili di azioni estorsive in pregiudizio di imprese edili operanti in quel centro.  Questi avrebbero tentato di condizionare il trasporto da e per l’isola di Lampedusa, nonché l’attività di ristrutturazione di alloggi popolari a Porto Empedocle.

Questo l’elenco completo degli indagati dell’inchiesta “Icaro” (tra parentesi le decisioni del Tribunale del Riesame: Antonino Abate, 29 anni, di Montevago (rigetto); Tommaso Baroncelli, 40 anni, di Santa Margherita Belice (accolta); Domenico Bavetta, 34 anni, di Montevago (respinto); Carmelo Bruno, 47 anni, di Motta Sant’Anastasia (Catania); Vito Campisi, 45 anni, di Cattolica Eraclea (accolto); Giovanni Campo, 25 anni, di Santa Margherita Belice (respinto); Pietro Campo, 63 anni, di Santa Margherita Belice (accolto); Francesco Capizzi, inteso “il milanese”, 50 anni, di Porto Empedocle (rigetto); Mauro Capizzi, 47 anni, di Ribera (accolto); Roberto Carobene, 38 anni, di Motta Sant’Anastasia (accolto obbligo di dimora); Gioacchino Cimino, 61 anni, di Porto Empedocle; Domenico Cucina, 48 anni, di Lampedusa (respinto); Rocco D’Aloisio, 46 anni, di Sambuca di Sicilia (respinto); Diego Grassadonia, 54 anni, di Cianciana (accolto); Antonino Grimaldi, 55 anni, di Cattolica Eraclea (accolto); Piero Guzzardo, 37 anni, di Santa Margherita Belice (rigetto); Antonino Iacono, 61 anni, di Giardina Gallotti (frazione di Agrigento); Gioacchino Iacono, 36 anni, di Realmonte (rigetto); Santo Interrante, 34 anni, di Santa Margherita Belice (accolto); Giacomo La Sala,  47 anni, di Santa Margherita Belice (accolto); Giuseppe Lo Pilato, 44 anni, di Giardina Gallotti (frazione di Agrigento) rigetto; Leonardo Marrella, 38 anni, di Montallegro (respinto); Stefano Marrella, 59 anni, di Montallegro (respinto); Vincenzo Marrella, 41 anni, di Montallegro; Vincenzo Marrella, 60 anni, di Montallegro (accolto); Francesco Messina, 58 anni, di Porto Empedocle; Francesco Pavia, 35 anni, di Porto Empedocle (respinto); Giuseppe Picillo, 53 anni, di Favara (respinto); Emanuele Riggio, 45 anni, di Monreale (respinto); Pasquale Schembri, 53 anni, di Montallegro (respinto); Gaspare Nilo Secolonovo, 47 anni, di Santa Margherita Belice (accolto); Francesco Tarantino, inteso “Paolo”, 29 anni, di Porto Empedocle (rigetto); Ciro Tornatore, 80 anni, di Cianciana (accolto); e Francesco Tortorici, 36 anni, di Montallegro (accolto).

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Mafia, lotta intestina nella cosca di Montallegro, duellano i Marrella: prevale Vincenzo

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MAFIA

 

Blitz Icaro, Tribunale del Riesame dispone la cattura di 14 indagati

 

La guerra intestina nella cosca di Montallegro,  duellano i Marrella: vince Vincenzo

 

L’INCHIESTA

Storia di Ignazio Marrone da Campobello di Licata: dall’aria di Cosa nostra al sapore della ‘ndrangheta’

 

IL CASO

Sequestrato il depuratore di Favara

 

L’ INTERVISTA

Di Rosa e Zambito: alla ricerca della cultura ad Agrigento

 

SPORT

Akragas-Ischia vale la salvezza

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Agrigento gestita “con i piedi”

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Ad Agrigento, sin dal dopoguerra e senza soluzione di continuità, il territorio, l’urbanistica, l’ambiente, le infrastrutture – senza eufemismi – sono stati gestiti “coi i piedi”.

Ogni “stagione” cultural-politica , infatti, si è caratterizzata per il pessimo contributo apportato a una terra che meritava e merita molto di più. Dall’era dei “tolli” che in pochi anni cinturarono un centro storico bellissimo riducendolo in miseria, all’era dell’unico lungomare che non consente la vista del ….mare. Il colpo d’occhio che oggi forniscono interi quartieri abusivi – in una città il cui numero di domande di sanatoria edilizia è pari o superiore al numero di famiglie residenti – era prevedibile quando la politica chiudeva entrambi gli occhi e, forse, agevolava l’edilizia spontanea? Era prevedibile che questi cittadini avrebbero prima o poi preteso, non si sa bene secondo quale priorità, di ottenere una sanatoria, ma anche le fogne, l’acqua, la pubblica illuminazione, i marciapiedi e tutti gli altri elementi di civiltà? Ed era prevedibile che i denari per realizzare le opere di urbanizzazione per le costruzioni regolari non sarebbero mai bastati, perché nel frattempo venivano dispersi in opere pubbliche inutili o – più di recente – per pagare tanti, troppi, stipendi o indennità? Era troppo complicato, nel costruire un quartiere per migliaia di persone, il Quadrivio Spinasanta, collegarne le fognature al depuratore , piuttosto che convogliarle, per decenni, nei valloni e nei fiumi? Ed era del tutto impensabile che insediando 10.000 persone al Villaggio Mosè, quel piccolo depuratore sorto per 2000 abitanti, si sarebbe ben presto rivelato “leggermente” inefficace , inquinando il mare? Quando si costruivano tutte le scuole superiori al Calcarelle ( dove pure non sono mai state realizzate le fognature), si rifletteva sul fatto che i ragazzi a scuola vanno con il bus e che tali mezzi hanno bisogno di carreggiate ben larghe per fare manovra? Si potrebbe continuare ad libitum , tante e tali sono le scelte sbagliate o scellerate , le disattenzioni , le omissioni , nell’ambito di una gestione del territorio che oggi ci consegna una città ferita a morte, per nulla vivibile, in cui l’essenziale manca e non si vede neppure all’orizzonte.

E agli agrigentini non è andata meglio quando la pessima gestione della cosa pubblica è stata vagliata in ambito giudiziario. Se, da un lato, è sacrosanto rivolgersi alla Giustizia per chiedere conto e ragione di una malefatta, dall’altro non sempre (anzi, quasi mai!) la tempistica processuale è compatibile con i bisogni urgenti, immediati, di una città e del suo territorio. Per non parlare di chi ha utilizzato o utilizza pretestuosamente la vicenda giudiziaria , sottraendosi alle responsabilità connesse al proprio ruolo, politico o amministrativo. E il caso dell’abusata frase, vero e proprio alibi dei nostri giorni, secondo cui è prassi omettere atti del proprio ufficio perché “c’è un indagine in corso” , o dell’evergreen “siamo fiducioso nell’operato della magistratura”, utilizzate per rinviare scelte cruciali , per tergiversare, per prendere tempo.  Non solo, ma nei fatti, si corre il rischio di attribuire alla magistratura un ruolo che la Costituzione non gli ha mai dato, ossia quello di operare le scelte migliori per il proprio territorio, per l’ambiente, per i centri storici e le periferie. Un complesso di funzioni, dalla programmazione all’azione, che prevedono conoscenza, dedizione, tempestività. E che competono soltanto a chi amministra la cosa pubblica o perché pubblico dipendente di un ente locale. Perché dalle sentenze penali o amministrative possano derivare nuove e migliori prassi , poi, occorrerebbe una società realmente evoluta, che partecipi sin dalla propria base alla formazione degli atti, alla programmazione, alle scelte politiche. Una cittadinanza che riesca a cogliere , dalle risultanze giudiziarie, quegli elementi di interesse generale che consentono di cambiare rotta, gli anticorpi necessari a non rifare le stesse scelte errate. E la nostra, certamente, non lo è ancora. La conseguenza? Alle sentenza, ancora oggi, seguono liti, interpretazioni teoriche, scuole di pensiero, che nulla di buono fanno sperare. E poi ci sono i paradossi. Negli anni successivi alla frana del 66’, quando la scandalosa gestione del territorio degli anni 50 e 60 approdò in Tribunale, ne uscì addirittura fortificata. Nessun reato fu mai provato. E dire che sarebbe bastata solo una rullina metrica per stabilire quanto fossero alti quei palazzoni , che dopo 50 anni sono ancora lì, a fare bella mostra di sé.

Non serviva né servirebbe alcun magistrato alcun magistrato, ma solo un po’ di solerzia, per demolire gli abusi insanabili, piuttosto che incoraggiarne tanti altri, garantendo la permanenza di tanti scheletri e troppi simboli di quella pessima stagione. E percorrendo quella “via giudiziaria” alla gestione del territorio che tante incertezze, speranze, delusioni, vane attese ha prodotto e produce. Ad ogni livello politico, amministrativo e culturale, ognuno svolga il suo ruolo, sappia assumersi le proprie responsabilità , sappia programmare il futuro di una terra che merita molto di più. Senza delegare altri ciò che toccherebbe fare a ciascuno di noi.

di Giuseppe Riccobene

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Porto Empedocle e i “furbetti”…… della spazzatura

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porto empe 2Perchè a Porto Empedocle si ferma la raccolta dei rifiuti? E’ forse come a Lampedusa dove uno su due non pagano la tassa locale? Questo giornale lo scorso 17.11.2015 aveva dato atto al sindaco di Lampedusa di aver pubblicato i dati che attestavano che in quella Città il Comune non è in grado di far pagare la tassa locale per i rifiuti e diversi furbi o furbastri ( nel periodo 2012,2013 e 2014 a Lampedusa quasi la metà non paga ed il Comune va in difficoltà con scioperi eccc).

Perchè a Porto Empedocle non si pubblicano i dati come ha già fatto Lampedusa? Chi ha interessa a non fare sapere? Può il Segretario Generale del Comune di Porto Empedocle far sapere a tutti, distinti per anni, nel 2012,2013,2014 e 2015 quanto è costato il servizio e quanto ha incassato con la Tari per anno? Forse non pubblicare continuerà ad aiutare furbi e furbastri che non pagano?

Va aggiunto che dal 2016 per definire il costo del servizio di igiene ambientale ( che i cittadini pagano attraverso la Tari) l’art. 7, comme 9, del D.L n 78/2015 impone di mettere tra i costi anche “gli eventuali mancati ricavi relativi a crediti non incassati”.

In pratica, i Comuni, dovendo incassare tanto quanto spendono (e non meno come avviene oggi dovranno far pagare ai cittadini virtuosi (i fessi?) le mancate riscossioni degli anni passati in capo ai furbi che non pagano. Riteniamo sia urgente che anche a Porto Empedocle si comunichi alla comunità la percentuale di chi non paga e se  come avviene già a Lampedusa le percentuali sono di quasi la metà che non pagano non siamo davanti a chi non può pagare ma a chi non vuole pagare ed il Comune anzichè perseguirli si gira dall’altro lato.

Un telefonino, ed in ogni famiglia ve ne sono diversi, costa mediamente tra acquisto e utilizzo diverse centinaia di euro l’anno. Soldi che si trovano mentre non ci sono fondi per i servizi collettivi dell’igiene ambientale. Ciò vuol dire che c’è qualcosa che non funziona nel Comune, chiamato per legge, a vigilare.

Se i dati resi noti dal Comune di Lampedusa (dove uno su due non paga) verranno confermati anche a Porto Empedocle è certo che i furbetti avranno nel Comune un alleato e che la mancata raccolta durerà mesi. 

E’ auspicabile che tutti i Comuni rendano pubblici i dati e il singolo Ufficio Tributi dell’Ente agisca per perseguire gli evasori.

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Mafia, chi comanda a Montallegro? “Vincenzo Marrella (cl. ’55) ha le chiavi della macchina”

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MAFIA

 

Chi comanda a Montallegro? “Vincenzo Marrella (cl. ’55) ha le chiavi della macchina”

 

L’INCHIESTA

Ignazio Marrone: da Campobello di Licata a re della ‘ndrina

 

IL CASO

Donna uccisa nel Grossetano: ergastolo per Bilella, agrigentino custode della villa

 

L’ INTERVISTA

Cirino, Gallo e Carreca: “La cultura? Un tram  che si chiama desiderio”

 

SPORT

Fidelis Andria – Akragas: biancazzurri a caccia della manita

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E se la Sagra del Mandorlo non fosse poi così male? Storia di un ragionamento “al contrario”

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La Sagra del mandorlo in fiore, è bene dirlo da subito, non ha mai attirato le mie personali simpatie.
Sarà per una questione anagrafica che, inevitabilmente, ha fatto sì che le migliori edizioni fossero quelle del passato a discapito delle ultime; o magari, questo mio “mal di pancia” è dovuto proprio alla pochezza e all’inconsistenza delle ultime edizioni: una kermesse senza arte né parte, senza un senso, con una evidente mancanza di strategia, una completa disattenzione ai bisogni del turista ma, soprattutto, un’approssimazione imbarazzante che ha, giustamente oserei dire, sollevato questioni sullo svolgimento stesso della manifestazione.

Un momento dell'edizione di quest'anno
Un momento dell’edizione di quest’anno

Questo giornale, in passato, si è occupato di Sagra e di tutto quello che ne gravitava intorno: dagli scandali politici, alle competenze inadeguate, passando per lo spreco di denaro. Tutti aspetti meritevoli di attenzione sicuramente ma che, almeno in queste righe, proveremo a mettere da parte. Il mio ragionamento, questa volta, vuole essere controtendenza. “Con questi soldi avremmo potuto fare altro” oppure “Era meglio se si fosse fatto in questo modo piuttosto che in un altro”.

Partendo proprio da queste semplici domande inizia la mia riflessione, allontanandomi di parecchio da suddette osservazioni per, invece, sottoporne delle altre.

Per questo, tralasciando almeno per il momento l’aspetto economico e tutto ciò che ne deriva, ho voluto appositamente porre l’attenzione sui contenuti della Sagra del mandorlo in fiore: cosa offre? Cosa c’è di diverso rispetto agli altri anni? Dunque, sorvolando l’aspetto critico che ben è interpretato dalla grande maggioranza dei miei concittadini, il mio desiderio è quello di sottolineare i punti di forza della kermesse, supportando tesi non immediatamente condivisibili, e vedere l’edizione che si sta svolgendo come un netto miglioramento delle condizioni precedenti.

slow foodIL CIBOLa Sagra del mandorlo in fiore nasce, per volontà del Conte Gaetani, nel 1934. Forse rappresenta il momento più alto di celebrazione della mandorla intesa come guscio della vita, nascita e resurrezione. Alberi di mandorlo che, in questo periodo, si schiudono regalando uno scorcio paesaggistico che molti ci invidiano. Dunque, come logica delle cose impone, il cibo rappresenta un importante mezzo per effettuare connessioni, condivisioni, momenti di fruizione e aggregazione. Da qui, il primo punto in favore dell’edizione di quest’anno: il merito, a mio modestissimo parere, comincia con il riportare al centro del dibattito la caratteristica peculiare del prodotto in questione: la mandorla, appunto. Incentrare il dibattito, attraverso numerose iniziative collaterali, sulla mandorla e sul cibo. In passato, questo aspetto è stato troppe volte sottovalutato, non capito, non approfondito. In questa edizione, anche grazie alla frammentazione dell’evento, è possibile dedicare ampi spazi alla mandorla e, aggiungo io, in maniera intelligente: concorsi di cucina, cooking show, partecipazione e coinvolgimenti delle attività culinarie del territorio e dei commercianti, momenti di condivisione e di conoscenza dei prodotti tipici, slow food e, infine, la riproposizione dell’evento culinario, che prenderà il via il prossimo 6 marzo, della MandorlaFest: evento celebrativo della mandorla con convegni di studio, momenti espositivi dei semilavorati e prodotti finiti a base di mandorla, degustazioni, laboratori del gusto con lavorazione della mandorla.

Mostra di Leo Matiz su Frida Kahlo
Mostra di Leo Matiz su Frida Kahlo

CULTURA. “ A cosa serve l’arte? La sua importanza è fin troppo presunta per essere spiegata e il suo valore è ritenuto solo una questione di senso comune: in ciò risiede l’errore.” In maniera del tutto confidenziale, vi dirò, che questo spunto riflessivo vede il suo inizio proprio da questo rigo scritto da sagra salvator mundiMarilù Oliva, professoressa di lettere, per l’Huffington Post. Qualche notte addietro, impegnato nella mia attività di letture dal mondo, mi colpì anche più del dovuto questo inizio di articolo. Vi starete domandando “Ma cosa c’entra?” ma, analizzate bene le parole qui sopra. Tutto questo per sottolineare e ribadire tutta la mia gratitudine a chi di dovere per aver riportato un altro elemento, secondo me centrale, al centro della kermesse: la cultura. L’intelligenza mostrata finora, e me ne frego chi sia il responsabile politico di turno, è stata proprio quella di inserire all’interno del palinsesto momento culturali davvero alti di cui, francamente, non ho memoria nelle edizioni passate: e dunque, lunga vita al Salvator Mundi in esposizione nella chiesa di Santo Spirito; lunga vita alla mostra di Leo Matiz su Frida Kahlo; lunga vita all’esposizione dei carretti siciliani lavorati a mano, delle rappresentazioni dei pupi da parte di una delle famiglie più antiche in tal senso; lunga vita, per chi non lo sapesse, anche ai dervisci rotanti: chi sono? Sono quegli uomini in tunica bianca, che danzano con delle piroette attorno al maestro, per coniugare arte e spiritualità. Sempre per chi non lo sapesse, i dervisci rotanti sono Patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco. Insomma, un riscontro positivo in tal senso che ha fatto “strage” soprattutto ,con mia grande sorpresa in positivo, nella fascia di miei coetanei. Tanta ma tanta gente entusiasta.

La tensostruttura di Agrigento
La tensostruttura di Agrigento

PALAMANDORLO. Prima di analizzare anche questo aspetto, per me importante per la chiave di lettura che intendo proporre, vorrei chiarire alcune semplici cose. Stabiliamo fin da subito, e questo lo dico per chi ogni anno crede di aver scoperto l’acqua calda, che sarebbe stato meglio il “PalaCongressi” e che la tensostruttura è di una bruttezza immonda. Appurati questi due aspetti basilari, bisogna fare il conto sul piano pratico e non teorico. Indubbiamente la situazione che negli ultimi giorni si è creata intorno alla funzionalità della struttura ha avuto grande rilevanza. Il fatto che il PalaMandorlo, voluto dall’amministrazione comunale, non abbia soddisfatto le richieste della Commissione Pubblico Spettacolo e quindi risultando inagibile per gli eventi organizzati dal comune stesso, ha il sapore di un clamoroso autogol. Ma, sorvolando almeno per il momento questo punto non intendendo addentrarsi nella ricerca delle responsabilità dirette, la domanda che mi pongo è una: ma davvero è stata una scelta così scellerata installare il tendone in pieno centro cittadino? E’ da classificare questa come una delle scelte poco felici in ottica funzionalità Sagra? La risposta ad entrambi gli interrogativi, per me, è no. Pensiamoci bene. Una struttura sì brutta come non mai ma inserita in pieno centro cittadino, in una delle zone più trafficate di Agrigento, a ridosso della più importante zona commerciale (naturale) della città. Una scelta che ha permesso, bastava essere presenti in uno di questi fine settimana, di ripopolare il centro cittadino, di permettere alle persone di fruire in Via Atenea e di spendere soldini (se solo i commercianti non avessero chiuso le proprie attività) ma, soprattutto, di vedere tanta ma tanta gente entusiasta. Famiglie intere che hanno popolato il centro, hanno preso parte agli spettacoli all’interno del PalaMandorlo facendo risultare il sold out.

In conclusione, sperando di non aver forzato troppo la mano, mi piacerebbe che il senso di queste riga possano essere comprese appieno. La Sagra attuale del Mandorlo in fiore, seppur abbia bisogno di migliorie soprattutto in termini di prontezza, efficienza, disponibilità e fruizione dei servizi, deve essere presa per quella che, a mio parere, rappresenta hic et nunc: non l’ennesima occasione gettata al vento bensì un’opportunità da cui far ripartire questa macchina ingolfata per troppo tempo. Tutto è migliorabile, tutto perfettibile. Bisogna che ognuno faccia il suo.

E, proprio per questo, mi sono permesso di “rubare” il finale di uno degli editoriali più interessanti apparsi in questo giornale, scritto dalla frenetica penna di Giuseppe Riccobene: ”Ad ogni livello politico, amministrativo e culturale, ognuno svolga il suo ruolo, sappia assumersi le responsabilità , sappia progettare e programmare il futuro di una terra che merita molto di più. Senza delegare ad altri ciò che toccherebbe fare a ciascuno di noi”.

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MareAmico: “Torresalsa è un paradiso terrestre, bisogna effettuare pulizia straordinaria”

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Gabbiani nella spiaggia di Torresalsa
Gabbiani nella spiaggia di Torresalsa

Negli scorsi giorni un servizio televisivo, realizzato dopo lo sbarco di extracomunitari a torre salsa, ha definito quella zona spiaggia della morte.
La riserva di torre salsa è una zona di notevolissimo pregio naturalistico, praticamente un paradiso drone 1terrestre, che però ogni anno per colpa degli scarsi controlli durante l’inverno, subisce un rilevante numero di sbarchi di extracomunitari, il cui effetto si osserva con il notevole accumulo di rifiuti nel retro duna (si notano centinaia di vestiti utilizzati dai migranti durante lo sbarco che poi vengono abbandonati in spiaggia).
Occorre subito una la pulizia straordinaria dei luoghi e il recupero di tutti questi materiali inquinanti, per far dimenticare al più presto quei tragici momenti.

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Chi era San Gerlando? Storia del patrono di Agrigento….”snobbato” dagli agrigentini

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A dirla tutta, per gli agrigentini non è la ricorrenza più “sentita” durante l’anno. Anche in questo aspetto, chiamiamolo spirituale, Agrigento presenta le sue “peculiarità”.
Pur essendo patrono e protettore della Città dei Templi, la figura di San Gerlando, è stata forse troppe volte offuscata da quella di un altro Santo. Nel mese di luglio, infatti, gli agrigentini riservano ben altro trattamento a San Calogero, di origini africane, venerato con festeggiamenti a dir poco caratteristici. Ma oggi , appunto, è San Gerlando, patrono di Agrigento.

Ma chi era San Gerlando? Cerchiamo di tracciare i contorni della figura dell’ex vescovo di Agrigento e, ancora oggi, patrono della città.

La sua nascita, secondo i più esperti storici , è da collocare intorno al 1030/1040 nella città francese di Besancon. Gerlando fu nominato dallo stesso conte, vescovo della città nel 1088. Venne consacrato a Roma da papa Urbano II.

Nel suo viaggio di ritorno, passando per Bagnara in provincia di Reggio Calabria, predisse al priore del locale monastero Drogone che sarebbe stato suo successore.
Ritornato ad Agrigento, Gerlando si adoperò alla riorganizzazione della diocesi, che dopo l’occupazione musulmana durata dall’829 al 1086, contava ben pochi cristiani e in sei anni edificò l’episcopio e la cattedrale che dedicò alla Madonna e a S. Giacomo; fortificò il castello di Agrigento, nome assunto dalla città nel 1927, ma che allora si chiamava Girgenti dal nome messo dagli arabi ‘Gergent’.
Testimonianze dell’epoca lasciano , senza dubbio, intendere inoltre che partecipò al convegno di Mazara del 1098 in cui il gran conte Ruggero I e i vescovi della Sicilia si accordarono per la ripartizione delle decime; a lui si dà il merito di aver battezzato e evidentemente convertito, il signore arabo Chamud, chiamato poi Ruggero Achmet.
Gerlando dopo dodici anni di episcopato, morì il 25 febbraio 1100.

L’ultima traslazione delle reliquie è del 1630, esse poste in una magnifica arca d’argento sbalzato, furono sistemate nella cappella della cattedrale dove sono tuttora.

 

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Revocata protezione al pentito Pasquale Salemi: metteva a rischio e lucrava sugli altri collaboratori

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MAFIA

Revocata protezione al pentito Pasquale Salemi: metteva a rischio e lucrava sugli altri collaboratori

 

L’INCHIESTA

Naro, blitz anti-assenteismo: tensione negli uffici comunali

 

Licata, sequestrato il depuratore

 

 

IL CASO

“Esplode” l’accoglienza per i minori degli emigrati

Intervista all’assessore comunale Gerlando Riolo e Donato Notonica (Acuarinto)

 

 

L’ INTERVISTA

Cuffaro a Favara: “La politica? Accozzaglia di persone che non si capisce chi la tenga in piedi”

 

 

SPORT

Akragas-Paganese: vincere vuol dire tranquillità

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Si pente anche l’imprenditore Mortellaro: “Ecco i nomi di chi ha intascato tangenti”

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MAFIA

Si pente anche l’imprenditore Mortellaro: ecco a chi ho pagato tangenti. Significative dichiarazioni del 2009 mai conosciute con nomi e cognomi di politici e mafiosi

 

Blitz “Icaro”, preso Secolonovo: voleva uccidere “Peppi catinazzu

 

La mafia del Belice e le nuove aggregazioni

 

 

L’INCHIESTA

Gli affari e le inchieste che coinvolgono Ignazio Marrone

 

Com’era “bella” Porto Empedocle nel 1993 (di Diego Romeo)

 

IL CASO

Ospedale San Giovanni di Dio, un altro caso di malasanità in un presidio poco ospedaliero

 

L’ INTERVISTA

Agrigento la città dove si bruciano i libri come in “Fahrenheit 451”

Interviste all’on. Palillo (Psi) e a Gioele Farruggia (Casa del libro)

 

SPORT

L’Akragas fa visita alla Juve Stabia: Rigoli a caccia della settima vittoriaSu www.grandangoloagrigento.it

 

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Le rivelazioni dell’imprenditore Mortellaro (parte seconda): “Appalti e tangenti, così funzionava il sistema”

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MAFIA

Le rivelazioni dell’imprenditore Mortellaro: “Appalti e tangenti, così funzionava il sistema”

 

L’impero dei Russello finisce allo Stato: sotto chiave il bar della Stazione e il Grand hotel Mosè

 

Editoria e condizionamenti, la relazione della commissione antimafia parla chiaro: e ad Agrigento?

 

L’INCHIESTA

Si scrive tirocinio si legge sfruttamento

 

IL CASO

Parcheggi pubblici nella Valle: contestato bando di gara

 

Cuffaro: “Tutti mi hanno chiesto di scendere in campo. Da destra a sinistra”

 

L’ INTERVISTA

Agrigento – Estonia andata e ritorno: parla l’ingegnere Gero Meli

 

SPORT

Akragas, Rigoli: “Dobbiamo avere fame non fretta”

 

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Mafia, blitz “Icaro”: il Tribunale del Riesame vuole in carcere metà degli indagati

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L’operazione antimafia “Icaro” del dicembre scorso, con provvedimento cautelare richiesto dai Pubblici ministeri Maurizio Scalia, Rita Fulantelli e Emanuele Ravaglioli, della Direzione distrettuale antimafia ed accolto dal Gip del Tribunale di Palermo,  Giangaspare Camerini, aveva portato in carcere sei persone: Antonino Iacono, 61 anni, indicato come il capo della “famiglia” di Agrigento; Francesco Messina, 58 anni, ritenuto il capo della “famiglia” di Porto Empedocle; Francesco Capizzi, inteso “il milanese”, 50 anni; Francesco Tarantino, inteso “Paolo”, 29 anni; Gioacchino Cimino, 61 anni, e Giuseppe Picillo, 53 anni, di Favara. Per altre quattro persone il Gip aveva disposto invece gli arresti domiciliari: Pietro Campo, 63 anni, di Santa Margherita Belice; Giacomo La Sala, 47 anni, anche lui di Santa Margherita Belice e per Emanuele Riggio, 45 anni, di Monreale; obbligo di presentazione alla Pg, invece, per Vito Campisi, 45 anni, e Antonino Grimaldi, 49 anni, entrambi di Cattolica Eraclea; Santo Interrante, 34 anni, e Gaspare Nilo Secolonovo, 47 anni, di Santa Margherita Belice.

Ma la richiesta di misura cautelare riguardava ancora un’altra ventina di persone ma il Gip non aveva accolto. Immediato il ricorso al Tribunale del Riesame di Palermo che ha sostanzialmente ribaltato le conclusioni del Giudice per le indagini preliminari. Gran parte dei ricorsi sono stati accolti, dando lustro alla ricostruzione investigativa della Squadra mobile di Agrigento ed al lavoro del Pm della Direzione distrettuale di Palermo, e adesso 14 indagati rischiano di finire in galera se non ci sarà pronunciamento differente da parte della Suprema Corte. Dunque, il Tribunale del Riesame di Palermo (diverse composizioni di collegio) ha accolto i ricorsi che miravano alla cattura di molti degli indagati perchè ritenuti organici in Cosa nostra, disponendo in difformità di quanto disposto dal Gip per: Tommaso Baroncelli, 40 anni, di Santa Margherita Belice; Vito Campisi, 45 anni, di Cattolica Eraclea; Pietro Campo, 63 anni, di Santa Margherita Belice, Mauro Capizzi, 47 anni, di Ribera; Roberto Carobene, 38 anni, di Motta Sant’Anastasia (accolto obbligo di dimora); Diego Grassadonia, 54 anni, di Cianciana; Antonino Grimaldi, 55 anni, di Cattolica Eraclea; Santo Interrante, 34 anni, di Santa Margherita Belice; Giacomo La Sala,  47 anni, di Santa Margherita Belice; Vincenzo Marrella, 41 anni, di Montallegro; Vincenzo Marrella, 60 anni, di Montallegro; Gaspare Nilo Secolonovo, 47 anni, di Santa Margherita Belice; Ciro Tornatore, 80 anni, di Cianciana; Francesco Tortorici, 36 anni, di Montallegro. Tutti, tranne Carobene, finiranno dietro le sbarre, se gli inevitabili quanto provvidenziali ricorsi (che bloccano al momento la cattura) degli avvocati difensori non coglieranno nel segno e la Corte di Cassazione confermerà quanto deciso dal “Riesame”.

Con l’operazione “Icaro”, gli investigatori hanno verificato come non si sia mai interrotto lo storico sodalizio tra “Cosa Nostra” palermitana ed agrigentina, così come dimostrato dai documentati summit andati in scena nelle campagne agrigentine tra ruderi ed appezzamenti di terreno.

Le indagini hanno investito il capoluogo agrigentino e la zona occidentale di Agrigento, permettendo di ricostruire la pianta organica dell’associazione mafiosa “Cosa Nostra” in quel territorio ed, in particolare, di raccogliere numerosi elementi indiziari a carico del capo famiglia della cosca di Agrigento,  Antonino Iacono, agrigentino, cl.  1954 e del capo famiglia della cosca di Porto Empedocle, Francesco Messina, nato a Porto Empedocle, cl.1957. Questi ultimi, in particolare, operavano con metodo mafioso ed estorsivo per condizionare l’attività di ristrutturazione del rigassificatore di Porto Empodecle. Tutti, comunque, ritenuti responsabili dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, illegale detenzione di armi, detenzione di sostanze stupefacenti.

Dalle risultanze investigative, oltre alla supremazia dei due “capifamiglia”, sono emersi i ruoli di spicco di numerosi soggetti organici all’associazione, quali Giuseppe Piccillo, uomo di fiducia di Iacono, delegato all’organizzazione di incontri con esponenti mafiosi di altre famiglie locali e per conto del quale si è reso responsabile di più azioni intimidatorie, finalizzate ad estorcere il pizzo a numerose imprese locali attive nel settore del “calcestruzzo”; Francesco Capizzi e Francesco Tarantino,  organici alla famiglia mafiosa di “Porto Empedocle” e soggetti di fiducia di Francesco Messina, per conto del quale si sono resi responsabili di azioni estorsive in pregiudizio di imprese edili operanti in quel centro.  Questi avrebbero tentato di condizionare il trasporto da e per l’isola di Lampedusa, nonché l’attività di ristrutturazione di alloggi popolari a Porto Empedocle.

Questo l’elenco completo degli indagati dell’inchiesta “Icaro” (tra parentesi le decisioni del Tribunale del Riesame: Antonino Abate, 29 anni, di Montevago (rigetto); Tommaso Baroncelli, 40 anni, di Santa Margherita Belice (accolta); Domenico Bavetta, 34 anni, di Montevago (respinto); Carmelo Bruno, 47 anni, di Motta Sant’Anastasia (Catania); Vito Campisi, 45 anni, di Cattolica Eraclea (accolto); Giovanni Campo, 25 anni, di Santa Margherita Belice (respinto); Pietro Campo, 63 anni, di Santa Margherita Belice (accolto); Francesco Capizzi, inteso “il milanese”, 50 anni, di Porto Empedocle (rigetto); Mauro Capizzi, 47 anni, di Ribera (accolto); Roberto Carobene, 38 anni, di Motta Sant’Anastasia (accolto obbligo di dimora); Gioacchino Cimino, 61 anni, di Porto Empedocle; Domenico Cucina, 48 anni, di Lampedusa (respinto); Rocco D’Aloisio, 46 anni, di Sambuca di Sicilia (respinto); Diego Grassadonia, 54 anni, di Cianciana (accolto); Antonino Grimaldi, 55 anni, di Cattolica Eraclea (accolto); Piero Guzzardo, 37 anni, di Santa Margherita Belice (rigetto); Antonino Iacono, 61 anni, di Giardina Gallotti (frazione di Agrigento); Gioacchino Iacono, 36 anni, di Realmonte (rigetto); Santo Interrante, 34 anni, di Santa Margherita Belice (accolto); Giacomo La Sala,  47 anni, di Santa Margherita Belice (accolto); Giuseppe Lo Pilato, 44 anni, di Giardina Gallotti (frazione di Agrigento) rigetto; Leonardo Marrella, 38 anni, di Montallegro (respinto); Stefano Marrella, 59 anni, di Montallegro (respinto); Vincenzo Marrella, 41 anni, di Montallegro; Vincenzo Marrella, 60 anni, di Montallegro (accolto); Francesco Messina, 58 anni, di Porto Empedocle; Francesco Pavia, 35 anni, di Porto Empedocle (respinto); Giuseppe Picillo, 53 anni, di Favara (respinto); Emanuele Riggio, 45 anni, di Monreale (respinto); Pasquale Schembri, 53 anni, di Montallegro (respinto); Gaspare Nilo Secolonovo, 47 anni, di Santa Margherita Belice (accolto); Francesco Tarantino, inteso “Paolo”, 29 anni, di Porto Empedocle (rigetto); Ciro Tornatore, 80 anni, di Cianciana (accolto); e Francesco Tortorici, 36 anni, di Montallegro (accolto).

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Le rivelazioni dell’imprenditore Mortellaro (parte seconda): “Appalti e tangenti, così funzionava il sistema”

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MAFIA

Le rivelazioni dell’imprenditore Mortellaro: “Appalti e tangenti, così funzionava il sistema”

 

L’impero dei Russello finisce allo Stato: sotto chiave il bar della Stazione e il Grand hotel Mosè

 

Editoria e condizionamenti, la relazione della commissione antimafia parla chiaro: e ad Agrigento?

 

L’INCHIESTA

Si scrive tirocinio si legge sfruttamento

 

IL CASO

Parcheggi pubblici nella Valle: contestato bando di gara

 

Cuffaro: “Tutti mi hanno chiesto di scendere in campo. Da destra a sinistra”

 

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Agrigento – Estonia andata e ritorno: parla l’ingegnere Gero Meli

 

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Akragas, Rigoli: “Dobbiamo avere fame non fretta”

 

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Editoria e condizionamenti, la relazione della commissione antimafia parla chiaro: e ad Agrigento?

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La Commissione bicamerale antimafia, per la prima volta in 50 anni, ha compiuto  un’inchiesta sulle intimidazioni e il condizionamento dell’informazione ad opera della criminalità al termine di numerosi sopralluoghi ed audizioni, svolti sia in sede di Comitato su Mafia, giornalisti e mondo dell’informazione, che in seduta plenaria, ha approvato il 5 agosto 2015 una relazione (Doc.XXIII n. 6) che analizza i rapporti tra mondo dell’informazione ed organizzazioni criminali.

La Commissione parlamentare antimafia a Caltanissetta
La Commissione parlamentare antimafia a Caltanissetta

L’Aula di Montecitorio ha discusso la relazione il 29 febbraio 2016 ed il 3 marzo 2016, approvando all’unanimità, con il parere favorevole del Governo, la risoluzione. Nelle prossime ore, la relazione sarà sottoposta alla votazione della Camera e la stessa Commissione Antimafia potrebbe trasformarla in proposta di legge:  “Non è un atto generico di  solidarietà – ha affermato in una conferenza stampa Claudio Fava, vicepresidente della Commissione, che ha dato impulso alla relazione -. Sono state ascoltate le storie di 35 giornalisti, molti giovani, precari ma determinati a non piegare la schiena. Nella relazione raccogliamo proposte che proviamo a suggerire al Parlamento”. In ambito penale, ha aggiunto, “ipotizziamo un’aggravante specifica, perché violenze e minacce non riguardano solo l’incolumità del giornalista, ma anche la sua funzione sociale”.

Claudio Fava, vice presidente commissione antimafia
Claudio Fava, vice presidente commissione antimafia

INFORMAZIONE CONTIGUA. L’hanno battezzata “informazione contigua o, peggio ancora, collusa con le mafie” ed è l’oggetto della relazione approvata dalla commissione parlamentare antimafia. Decine di audizioni ed incontri per ascoltare, sentire e vedere direttamente a palazzo San Macuto giornalisti, direttori di testata e magistrati, centinaia di pagine di verbali giudiziari, articoli di quotidiani, pezzi di storia nera dell’informazione italiana raccontati dai protagonisti superstiti per arrivare a dire che “esiste un reticolo di interessi criminali che ha trovato in alcuni mezzi d’informazione e in alcuni editori un punto di saldatura e di reciproca tutela”. A guidare un pugno di parlamentari, che da più di dodici mesi ha per oggetto quanto detto, è Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia e figlio di Giuseppe (Pippo), giornalista ucciso da Cosa Nostra, frangia catanese, nel 1984 perché , ancora prima di tutti aveva capito e , per questo messosi di mezzo tra le sfere dell’alta borghesia etnea e i clan più sanguinari, i loro sporchi intrecci.

La relazione finale è composta da circa 80 pagine. Ottanta pagine che pesano come un macigno sull’onorabilità e la libertà del giornalismo in Italia, con maggiore attenzione alla Sicilia. Sostanzialmente si può scomporre in due grandi aree di analisi la relazione stessa: la prima, riguardante tutti quei casi in cui cronisti e giornalisti hanno subito minacce o tentativi di ritorsioni o aggressioni; la seconda, il rapporto ancor più morboso nonché preoccupante , al limite del disgustoso, che c’è tra l’editoria e la criminalità organizzata. Una sorta di patto non belligerante volto a promuovere interessi da una e dall’altra parte.

Leggi il testo integrale della relazione  http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/023/006/INTERO.pdf 

GLI ATTI INTIMIDATORI. Oltre 2000 dal 2006 ad oggi, secondo i Rapporti di Ossigeno, e ben 500 nel solo 2014, con un aumento del 20 per cento rispetto al 2013 (stime per difetto, se si tiene conto che molti episodi non sono denunciati): si va dalle tradizionali forme di intimidazione  (pallottole recapitate a domicilio, bombe inesplose, lettere e telefonate minatorie, linciaggi mediatici sui social network) alle violenze vere e proprie (aggressioni fisiche e danneggiamenti) per arrivare agli undici casi di omicidio per mano delle organizzazioni mafiose e terroristiche (otto assassini di giornalisti uccisi dalla mafia sono avvenuti in Sicilia). E sono pochissimi i casi in cui si riesce ad individuare gli autori di tali atti.

RAPPORTO EDITORIA – MAFIA. Un secondo aspetto oggetto di analisi da parte della Commissione è quello dei rapporti stretti che talora intercorrono tra mezzi di informazione ed organizzazioni mafiose a tutela dei reciproci interessi: sempre di più, infatti, sono i casi in cui quotidiani o siti internet svolgono un’opera di fiancheggiamento, di prostrazione al potere mafioso, risultando quantomeno un tipo di informazione compiacente. Ed il modus operandi è sempre lo stesso: la delegittimazione. In assenza di importanti e concrete tutele o atti che pongano quantomeno il problema sotto un più giusto punto di vista è chiaro che si venga a creare una “zona grigia”. Importante, in tal senso, dovrebbe essere il lavoro svolto dalle associazioni ma, ancora prima, dall’ordine dei giornalisti che, non sempre, è stato tempestivamente pronto ad intervenire a difesa dei propri iscritti.

“In entrambi i casi – scrive Fava nella sua relazione finale – a patirne le conseguenze è la libertà dell’informazione: chi intimidisce un giornale o corrompe un giornalista procura un immediato e rilevante danno sociale all’intera comunità civile”.

http://www.rainews.it/dl/rainews/TGR/basic/PublishingBlock-f9fb1cb6-573a-4018-9d55-e41a181ae733-archivio.html#
[
L’On. Claudio Fava parla ai microfoni di RaiTre di Franco Castaldo ed il suo caso ]

La Sicilia, in tal senso, è sicuramente la Regione che più di tutte ha pagato un contributo altissimo sia in termini di attentati alla persona sia per quanto riguarda i rapporti tra editoria e mafia. Il caso più emblematico, forse, è rappresentato dal direttore di questo giornale. Fava, vice presidente della Commissione Antimafia, ha parlato qualche giorno addietro in un’intervista rilasciata a Raitre di Castaldo come esempio di questa lotta. E, ancora più nello specifico seguendo questa scia, sarebbe interessante approfondire con lente d’ingrandimento la situazione editoriale nella nostra Provincia che, attualmente, conta un esercito di editori apparsi nel corso degli anni come funghi, dando vita ad un’infinità preoccupante di testate, diari, blog. Solo un caso? Libertà e prosperità di informazione? O solamente un tentativo di moltiplicare i mezzi a disposizione per condizionare opinione pubblica? Chissà …

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Mortellaro a ruota libera: “Tangente al sindaco di Alessandria della Rocca”.

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Grandangolo 11

 

MAFIA

 

Mortellaro a ruota libera: “Tangente al sindaco di Alessandria della Rocca”. “Anche il gruppo Olivetti sapeva del pagamento del pizzo”

 

Pietro Campo e i nuovi sodali; Giacomo La Sala pronto ad andare in America per commettere crimini

 

L’INCHIESTA

La differenziata è scelta di civiltà ma i cambiamenti si attuano con la testa

 

IL CASO

Consorzio universitario: un calvario interminabile

 

Porto Empedocle: vent’anni senza democrazia

 

L’ INTERVISTA

Enrico Guarneri:  dall’abate Vella al teatro comico per ringiovanire

 

SPORT

Akragas – Catania: che derby all’Esseneto

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La differenziata è scelta di civiltà ma i cambiamenti si attuano con la testa

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La mappa della raccolta differenziata in Sicilia illustra una realtà disomogenea con sensibilità e riflessi operativi, differenti per territorio. La percentuale più alta viene fatta registrare nel piccolo paese della provincia di Palermo, di Gratteri, che arriva al 73% di differenziata. I territori di Catania e Trapani appaiono mediamente i più virtuosi. Tra i capoluoghi di Provincia il primato spetta a Ragusa con il 25,3%, seguita da Trapani al 18,5%, Caltanissetta al 12,5% . Fanno peggio Siracusa con il 3%, Messina con il 6%, mentre Enna si ferma di poco sotto la doppia cifra con il 9% di raccolta differenziata. E ad Agrigento?

Agrigento conferma la regola che vale per moltissimi altri capoluoghi siciliani: una media al di sotto del 15% (che comunque appare insufficiente) e qualche difficoltà a fare decollare il servizio della differenziata. La nuova amministrazione comunale, eletta dagli agrigentini lo scorso Maggio, aveva fin da subito posto tra le battaglie da vincere quella della raccolta differenziata. Differenziare è un atto di civiltà, di bene comune oltre ad essere un obbligo previsto dalla legge e non di certo un cortese invito. La data ufficiale per il via a questo innovativo (da queste parti) servizio era stata inizialmente fissata per l’1 Marzo salvo poi fare un dietro front non del tutto senza polemiche. Come luogo da cui far partire questa “rivoluzione” è stato scelto il quartiere di Fontanelle, popolosa frazione a Nord di Agrigento. Una scelta rischiosa, azzardosa che francamente ci lascia leggermente perplessi. Il motivo? La raccolta differenziata, seppur ormai nel 2016 dovrebbe rappresentare la normalità, in termini pratici ancora non lo è, soprattutto in una città come quella di Agrigento mai abituata a simili iniziative. Una nobile sfida da raccogliere e superare con grandi risultati ma che, almeno per il momento, stenta a partire. E di certo la scelta di cominciare questo servizio dal quartiere più popoloso, con la maggiore densità di abitanti e peraltro composto a stragrande maggioranza da blocchi condominiali con 20 famiglie e non da singole abitazioni ha il sapore di un autogol. Ed, in effetti, i risultati si sono visti. L’amministrazione comunale ha dovuto, in fretta e furia, rinviare il servizio della differenziata non prima però di aver tolto dalla strada, il giorno prima, tutti i cassonetti dei rifiuti, non lasciando moltissima scelta agli abitanti. Il problema principale, a detta del Comune di Agrigento e dell’assessore al ramo, Mimmo Fontana, è stato il ritardo della presa in consegna dei contenitori distribuiti gratuitamente presso gli uffici comunali distaccati, una scarsa disponibilità all’innovazione e all’ostruzionismo di qualche amministratore.

Fatto tesoro di una scelta forse troppo azzardata quantomeno nella tempistica di attuazione, il Comune di Agrigento ci riprova. A distanza di quindici giorni viene riproposto il servizio della differenziata, tolti nuovamente tutti i cassonetti dalle strade del quartiere e collocati i contenitori condominiali per ogni palazzo. Ma, stavolta, avrà funzionato? Fermo restando che ancora è troppo presto per dare giudizi di qualsiasi natura, la risposta attuale rimane il NO. Dopo i primi giorni, del secondo tentativo, i problemi riaffiorano al pettine: molti non hanno ricevuto i moduli nelle buche delle lettere e quindi non sanno come fare la differenziata. Un altro problema rilevante, soprattutto nei condomini di 10-15 famiglie, è l’organizzazione dei grossi raccoglitori condominiali in cui andrebbero riversati i rifiuti dell’intero complesso.

Per non parlare della campagna di sensibilizzazione che si è mossa intorno al fenomeno della differenziata. Insufficiente. Nonostante i buoni propositi dell’amministrazione comunale, che ha peraltro organizzato anche degli incontri con la popolazione e dei meeting nelle scuole con i bambini per tentare un avvicinamento, i risultati sotto questo punto di vista sono stati carenti. Bisogna capire, ed avere maggiore incisività di intervento, che operazioni come la differenziata attuate in città storicamente chiuse alle innovazioni, in quartieri peraltro dove la “resistenza” in tal senso è altissima, sono di quelle delicate che non possono essere programmate e attuate dall’oggi al domani ma, al contrario, serve una continua opera di educazione e sensibilizzazione dell’utente.

Un altro problema che molti dei nostri lettori ci hanno segnalato è rappresentato dai turni per la raccolta, sollevando qualche perplessità soprattutto per quanto riguarda i rifiuti dell’umido: sebbene la raccolta per questi rifiuti sia prevista 3 volte a settimana, non lascia del tutto convinti il fatto che vi sia un intervallo di due giorni interi, per poter disfarsi di questi rifiuti che, ricordiamo, possono comprendere anche resti di frutta, resti di pesce, lettiere degli animali, scatoloni di pizza ecc.

In conclusione, è arrivato il momento di recepire e raccogliere questa importante scelta di innovazione e civiltà ma, come in tutti i cambiamenti, bisogna usare la testa.

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Via San Girolamo, storia di una vicenda tipicamente pirandelliana

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Ha, ormai, assunto i contorni di una vicenda pirandelliana, e non soltanto per i residenti di  via San Girolamo o del ben più ampio e popoloso quartiere del centro storico di Agrigento.
La capacità dimostrata, infatti, nel riuscire a complicare e confondere la realtà dei fatti, assume oggi il ruolo evidente di paradigma di una burocrazia più cieca che miope, più contro che a favore dei cittadini. Come è noto, da oltre quattro mesi, in via San Girolamo vige l’interdizione al transito. A determinare ciò, un’ordinanza del comune di Agrigento, resasi necessaria a seguito di dissesti di natura idrogeologica che hanno interessato un edificio privato. Dissesti che sarebbero stati generati dal crollo della volta di una antica cisterna a campana, di epoca medievale, posta tra la base del fabbricato e la stessa via, e che avrebbe dato origine al cedimento del fabbricato privato prospiciente la via San Girolamo.
Come purtroppo avviene spesso in casi simili si è assistito, per mesi al solito rimbalzo di responsabilità tra i vari attori, enti e gestori chiamati in causa, nonchè il solito necessario ricorso alla Magistratura per dirimere la controversia, individuare i responsabili, e quindi punire i colpevoli.
Adesso sono trascorsi ben più di quattro mesi. E nell’ attesa che la Giustizia faccia il suo corso, si sono susseguiti, e si susseguono ancora, riunioni più o meno partecipate, vane promesse e interviste che annunciano l’oramai prossima risoluzione della faccenda. Ma a noi, come detto, tutto ciò è parso sin da subito esemplare.
Abbiamo seguito con interesse ed attenzione quanto accaduto in via San Girolamo, passo dopo passo, intervista dopo intervista, speranzosi davvero che, finalmente, si sarebbe risolta una grave emergenza cittadina. Da un comunicato stampa, diramato dalla parlamentare agrigentina Maria Iacono, è emerso un fatto che ha del paradossale. Il deputato del Partito Democratico ha chiesto ufficialmente l’intervento del Dipartimento di Protezione Civile Regionale, segnalando la gravità della situazione in cui versa l’intero quartiere agrigentino, i suoi abitanti, e i rischi per la pubblica incolumità. Tutto ciò, a noi, è parso davvero incredibile: dopo quattro mesi di riunioni e tavoli tecnici, sopralluoghi ed interventi, gli Uffici Comunali non hanno ancora coinvolto il Dipartimento Regionale di Protezione Civile, ovvero l’unico organismo in grado, forse, di poter risolvere la problematica? Come hanno permesso, detti uffici, di far trascorrere tutto questo tempo? Per quanto assurda possa sembrare, verificata la notizia, apprendiamo della sua veridicità e, strana coincidenza, proprio a ridosso della tranciante richiesta della parlamentare Iacono, viene emessa una ordinanza comunale, quanto mai tardiva, che intimava ai soggetti interessati, di porre in essere tutte le necessarie misure per garantire ai mezzi di soccorso il transito in via San Girolamo.
Ed ancora: negli ultimi giorni, a seguito dell’intervento del Dipartimento Regionale della Protezione Civile, della convocazione urgente di un sopralluogo congiunto, dello studio degli atti e dell’approfondimento dell’intera controversia, lo stesso Dipartimento Regionale, a strettissimo giro di posta, ha scritto a tutti gli enti interessati, individuando le modalità di risoluzione della vicenda,  individuandone i tempi e suggerendo agli stessi anche i riferimenti normativi. Alla richiesta di Maria Iacono, infatti, il Dipartimento Regionale di Protezione Civile afferma, nero su bianco, la necessità improrogabile di rendere fruibile la Via San Girolamo ed invita il sindaco, quale ufficiale del Governo, a volere adottare i provvedimenti del caso al fine di prevenire e di eliminare i gravi pericoli che minacciano l’incolumità, ricordando che lo stesso può provvedere d’ufficio, a spese degli interessati, senza pregiudizio dell’azione penale per i reati in cui siano incorsi.
Pietro Fattori

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Blitz “Eden 5-Triokola”, 7 arresti e 25 indagati: Totò Di Ganci evita la cattura, Messina Denaro pure

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MAFIA

Blitz “Eden 5, Triokola”, 7 arresti, 25 indagati: Totò Di Ganci evita la cattura. Messina Denaro pure

 

Leo Sutera: un boss nel cuore di Matteo Messina Denaro

 

Blitz “Cemento del Golfo”: La gallina dalle uova doro e il professionista antimafia

 

AUTISMO

Le famiglie di Agrigento chiedono un centro: da P.zza Pirandello parte la fiaccolata

 

L’EVENTO

Una buona notizia:  al centro storico un milione per tre anni

 

L’ INTERVISTA

”Con una sagra ben strutturata  ci sarò una Farnesina più attenta”

Intervista Diego Romeo al deputato Tonino Moscatt

 

AKRAGAS

Più ombre che luci: oggi arriva il Martina Franca

 

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Il lavoro nobilita l’uomo ma il voucher lo schiavizza

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Mi sono sempre chiesto, fin da bambino, quale fosse la strada giusta per diventare un buon giornalista. E, interrogandomi sempre di più sul come e sul cosa fosse più giusto, sono arrivato ad una conclusione: “Mi ha sempre dato fastidio non conoscere bene le cose.” Da qui, un impegno che con il passare del tempo assume per me valore simbolico: cercare di combinare la vocazione giornalistica con i fatti reali, i cambiamenti, le criticità. Essere un buon osservatore, saper guardare con occhi critici e, laddove ne avessi le possibilità, cercare di avvicinarmi il più possibile ad una logica di verità. E’ proprio seguendo questi strani pensieri, forse da pazzoide, che nasce il mio interesse per questo straordinario campo. Basti, poi, aggiungere le infinite esperienze personali vissute in prima persona o, ancora meglio, scorgere pezzi di vita reale vissute da conoscenti, amici o semplicemente cittadini del mondo ed il gioco è fatto.

In effetti, dopo aver trattato di problematiche inerenti alle politiche della formazione in Italia, ma più nello specifico ad Agrigento, è stato per me quasi una naturale continuazione tornare a parlare di questa problematica. Ed il tutto nasce da un assunto: ad oggi, essersi fermato alla terza media oppure avere una laurea con il massimo dei voti è praticamente la stessa cosa agli occhi di un moderno datore di lavoro.

Sia Salvatore, dottore in Scienze Motorie con diversi attestati che ne confermano la professionalità e l’efficienza degli studi svolti con i sacrifici di un padre, che Federica, giovane ragazza che lavora con impeccabile professionalità come cassiera all’interno dei locali della movida della mia città, valgono per 7,50€ di paga nette l’ora più un euro e trenta di contributi pensionistici all’Inps, settanta centesimi di assicurazione antinfortunistica all’Inail e cinquanta centesimi di gestione del servizio. Fanno dieci euro tondi tondi: il valore, appunto, di un giovane lavoratore oggi.  Il valore di un voucher. Ma cos’è un voucher?

I voucher sono i tagliandi da 10 euro l’ora (7,5 netti per chi li riceve) introdotti nel 2008 per pagare i lavoretti occasionali. Ticket da mini-impieghi che stanno avendo un successo straordinario. In Sicilia l’aumento rispetto al 2014 è stato del 98,7 per cento. Inventati per regolarizzare piccole mansioni da sempre pagate in nero oggi cosa sono diventati i voucher? Semplice, lo stimolo che ci ha portati di fronte all’aumento dei mestieri ultra-precari, di impieghi barattati al ribasso e di lavoratori che, anziché essere messi in regola, vengono pagati con uno strumento che li condanna a morte, senza un futuro se non quell’1,2 € versati all’Inps. Da brivido.

In entrambi i casi, i diritti sono gli stessi: il diritto a NON ammalarsi, a NON curarsi, a NON poter contrarre un mutuo per la casa, diritto a NON poter programmare una vita nel medio-lungo termine, diritto a NON sposarsi e, insomma, il diritto a non avere quei diritti conquistati dopo secoli di lotte di classe, di sacrifici.

Salvatore, dottore in Scienze Motorie, ha condotto una carriera universitaria e di formazione personale sempre al limite della perfezione. Un appagamento personale cresciuto negli anni, una formazione che va ben oltre a quelle del padre che, però, rappresenta ancora oggi unica forma di speranza e sussistenza. E’ proprio questa la contraddizione, proprio questo il mio fastidio: realizzare con l’amaro in bocca che un giovane laureato, preparato, con diversi titoli accumulati non potrà mai realizzarsi dal punto di vista lavorativo e, dunque, anche economico così come è toccato al padre, seppur appartenesse ad una generazione diversa, con diversa preparazione e sicuramente con meno carte in regola.

Dall’altra parte della barricata ci sono loro, i moderni datori di lavoro che, sotto la bandiera spiegata dal vento di crisi, attuano la disfattista quanto incredibilmente devastante teoria del “va bene quello che capita”. E, dunque, via ai tagli degli orari, dei turni e, cosa più fastidiosa, il giovane lavoratore viene semplicemente visto come un “tappabuchi”, un tuttofare da utilizzare laddove ci sia necessità e non una risorsa su cui puntare. E da qui, inevitabilmente, nasce quell’esercito di disoccupati, di nuovi poveri lavoratori che sì manualmente svolgono qualsiasi attività ma che economicamente e in termini di dignità pagano un enorme prezzo. Inoltre, i voucher creano fra i datori di lavoro due categorie: quelli che rispettano la norma e trasformano il rapporto accessorio in contratto non appena l’impiego diventa stabile e quanti continuano a suddividere illegalmente l’impiego stabile in più rapporti accessori. Inutile sottolineare che la fascia d’età che più riguarda questo triste fenomeno va dai 22 ai 27 anni. La mia.

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La cattiva manutenzione costa cara al Comune di Agrigento

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Per rendere bene l’idea di quanti siano gli effetti negativi che possono conseguire da una scarsa manutenzione e da una non curanza degli aspetti fondamentali della vita cittadini, viabilità in primis, basti andare a scrutare l’aspetto economico. Perché, è risaputo, sono i soldi che fanno più “scrusciu” e, di questi tempi, confrontare gli aspetti e rapportarli da un punto di vista economico rafforza maggiormente il concetto e, si spera, muova qualcosa all’intero delle nostre coscienze. Sì, il fine che giustifica i mezzi.  Dunque, facendo un giro veloce sul web e consultando facilmente la sezione “amministrazione trasparente”, nuovo format che permette una rapida e facile accessibilità agli atti di interesse pubblico del Comune, possiamo accorgerci di alcuni dati interessanti. Per esempio, andando sulla voce “delibere del consiglio” è possibile riuscire a farsi due conti. E, parlando di manutenzione degli angoli della Città, il prezzo da pagare è alto. Infatti, a causa di una estrema non curanza che ha caratterizzato le menti dei più amministratori che si sono susseguiti a Palazzo dei Giganti, Agrigento si ritrova a dover leccarsi le ferite. Ma, come dicevo, per rendere ancora meglio l’idea è necessario spostarsi sul piano prettamente economico della situazione con alcuni pragmatici esempi. Il Consiglio Comunale, riunitosi lo scorso 15 Marzo, ha posto in essere fra i vari punti del giorno quello del “riconoscimento debito fuori bilancio”; in particolare, la seduta ha analizzato e approvato, caso per caso, i finanziamenti imposti da sentenze definitive che hanno visto il Comune di Agrigento essere condannato più volte in favore dei propri cittadini. E sono tanti.

E’ il caso di M.D.S che per un sinistro ha vinto la causa contro il Comune ricevendo come risarcimento danni una somma pari a 2757,66€. Stessa sorte è toccata alla signora Z.A. che si è vista riconoscere i danni causati da un incidente in cui il Comune è stato riconosciuto colpevole: 7167,94€ il risarcimento. E, ancora, il Tribunale ha condannato per lesioni lo stesso Comune ordinando un risarcimento nei confronti della signora T.C. di 3600,00€ (lorde). Ma c’è un caso che assume un valore simbolico più alto in tal senso perché riesce a coniugare da una parte il risarcimento e dell’altro il paradossale evento che lo ha causato e, soprattutto, il luogo. Perché qui parliamo del “salotto” della Città: via Atenea. Infatti, l’agrigentina E.N. ha vinto una causa contro il Comune di Agrigento che le ha permesso di richiedere il risarcimento, quantificato successivamente in 8424,00€, dopo essersi procurata delle lesioni in seguito ad una caduta nella principale via della Città. Come si legge dalla stessa sentenza “La via Atenea non solo rientra nel centro urbano di Agrigento ma è anche la più importante strada, destinata al passeggio dei cittadini, sicchè è applicabile la disposizione dell’art.2051cc che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”. In quest’occasione il Comune è stato riconosciuto responsabile al 40% e, dunque, limitarsi al risarcimento.

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