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E sarebbe questa la strada degli scrittori?

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Intervista di Diego Romeo all’ing. Benito Macchiarola

Benito Macchiarola
Benito Macchiarola
Diego Romeo
Diego Romeo

 

 

 

 

Dal 23 aprile  2014 le cronache hanno sbandierato notizie rassicuranti sull’ Agrigento-Caltanissetta: 1° lotto a un passo dall’inaugurazione. Ormai manca davvero poco per inaugurare il primo lotto del raddoppio della S.S. 640 Agrigento – Caltanissetta.

19 Agosto 2015: Ss 640 Agrigento-Caltanissetta, ripartono i lavori con 100 operai. Sono più di cento gli operai che da lunedì 24 agosto ricominceranno a lavorare e pieno ritmo per concludere i lavori per il raddoppio della Ss 640 Agrigento-Caltanissetta. Sono 9 i chilometri ancora da completare sui 33 che fanno parte del primo lotto dei lavori nell’Agrigentino. Ad Agrigento, nella zona del rifornimento Erg dove parte la nuova “superstrada” 640, sarà completata entro ottobre la carreggiata destra così come nella zona del viadotto Petrusa. Altro tratto da completare una parte del rettilineo di Racalmuto, zona di contrada Noce, dove si sta lavorando per rendere l’asse principale tutto transitabile a quattro corsie sempre entro ottobre. Concludendo questi lavori, il primo lotto sarà definitivamente concluso.

Questo, secondo quanto si apprende dall’ingegnere Calogero Abissi, direttore tecnico dei lavori, stando ad una comunicato dell’Anas emesso il 6 ottobre scorso, il ripristino della viabilità doveva avvenire nella giornata del 12 dicembre.

16 dicembre 2016: SS 640 Slitta l’apertura: Impossibile aprire la strada entro il 31 Dicembre. Slittano i tempi per l’apertura al traffico della nuova statale 640.

L’inaugurazione della strada a quattro corsie, due per senso di marcia più una di sosta, in territorio di Agrigento dal chilometro 9,880, il punto da dove praticamente avrà inizio la nuova statale per Caltanissetta, era prevista entro il 31 dicembre considerata l’assenza di ostacoli, cosi come avevano precisato dall’Anas regionale.. “Abbiamo riportato—ci dice l’ing. Benito Macchiarola— solo alcuni brani estratti dalla stampa a dimostrazione del pressapochismo con cui l’impresa ha eseguito i lavori e l’ANAS ha “vigilato”.

Ma andiamo per ordine: 25 febbraio 2009: vengono consegnati i lavori del primo lotto alla Cmc (Cooperativa muratori e cementisti) aggiudicataria della gara milionaria come General contractor. I lavori dovevano essere ultimati entro 1.280 giorni quindi entro il 28 agosto 2012! Poco più di 3 anni.

Ebbene, il prossimo 25 febbraio 2017, saranno trascorsi ben 8 anni.

Quindi si è assistito allo  stillicidio delle scadenze?

“Si, l’impresa e l’Anas hanno continuamente dato scadenze che, puntualmente, non hanno rispettato. L’ultima è quella del 31 dicembre 2016. Per la quale si erano impegnati anche con il sottosegretario Simona Vicari che aveva visitato i cantieri lo scorso 18 luglio”.

Niente scossoni o proteste?

“Qualcuno dirà: «cosa vuoi che siano  cinque anni in più rispetto ai tre assegnati, l’importante è avere la strada».

Ma dietro questa rassegnazione ci sono problematiche diverse evidentemente.

Eh si, perché  cinque anni in più sono stati subiti dagli abitanti con disagi, (fino a stamani, se sbagli lettura di cartelli apposti in modo posticcio, invece di andare ad Agrigento, dal distributore Erg ti ritrovi allo svincolo di Aragona) disagi che, gli autori degli stessi avrebbero il dovere di riconoscere alla città, sperando che l’attuale amministrazione non faccia come quella precedente, per cui i 3 milioni, a quanto pare sono serviti a “garantire i servizi” come eufemisticamente soleva affermare il sindaco Marco Zambuto. Otto anni per realizzare (quando se ne andranno, solo allora i lavori saranno ultimati) circa 33 Km contro i tre fissati in sede di gara sono troppi, capisco che ci hanno abituato alla Salerno Reggio Calabria ma, pare, checiò non dovrebbe più accadere”.

Ma almeno si parla di penali?

“Certamente per ritardi era prevista una penale, per ogni giorno di ritardo, l’Anas che ha  persino rinnovato il suo sito “Vi presentiamo il nuovo sito Anas Mercoledì, 28 Dicembre, 2016 Trasparenza, eccellenza, sostenibilità e attenzione ai clienti sono i…” se provate a cercare notizie sul primo lotto resterete delusi, del primo lotto non si trova traccia, (fa venire in mente il Ministero della verità di Orwell nel suo 1984) alla faccia della trasparenza”.

A questo punto ci sarà un qualche intervento da chiedere?

“Non resta che chiedere un intervento dell’Anac, l’Autorità contro la corruzione, perché è chiaro, su questo appalto qualcosa non ha funzionato, chi doveva vigilare non lo ha fatto, chi doveva dirigere non lo ha fatto, chi doveva collaudare non lo ha fatto, il tutto condito da una sciatteria organizzativa da parte dell’impresa esecutrice (tratti realizzati e poi franati lasciati abbandonati per anni) lo svincolo di Racalmuto e quello della Petrusa abbandonato per anni, una sola squadra al lavoro, quando lavorava, se operava in un posto non poteva essere presente in altri. In sostanza una grande impresa, la Cmc, come pomposamente si legge sui cartelli distribuiti nei vari cantieri, che ci ha trattato come coloni, e da colonizzatori si sono comportati, con spocchioso menefreghismo”.

Anche qui impossibile avere giustizia?

“Voglio augurarmi che qualcuno renda giustizia a questa terra, dove l’Europa investe sul nostro futuro, e questi signori ce lo hanno rubato, grazie anche alla evidente connivenza di chi doveva vigilare, è triste dirlo ma, ancora una volta l’Anas non si è dimostrata all’altezza del compito, in tutto il mondo chi finanzia effettua un continuo e puntiglioso controllo anche sui tempi di esecuzione e interviene tempestivamente per richiedere una riorganizzazione al fine di garantire il rispetto dei termini contrattuali. Capisco che l’Anas non ci mette niente di suo, men che meno il funzionario o dirigente locale, è molto meglio mantenere rapporti cordiali con l’impresa e chiudere un occhio alle tante mancanze tanto poi arriveranno altri soldi per manutenere le porcherie che hanno lasciato fare e la … barca va. 

Da ultimo una notazione, alcuni organi di stampa hanno sottolineato gli sforzi delle maestranze che hanno lavorato anche di notte, mi associo all’encomio per le maestranze ma, non dimentico, che per anni, non li hanno fatto lavorare. In Sicilia si dice “u jorno unni voglio e la notte spardu l’oglio”, (di giorno non lavoro ma lo faccio di notte sprecando l’olio delle lanterne). Per ultimo un auspicio: venga applicata correttamente la penale per ritardi nell’ultimazione dei lavori e le stesse somme vengano distribuite tra i vari comuni a parziale ristoro dei disagi subiti da destinare a opere pubbliche”.


Precari Comuni: via alle stabilizzazioni?

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Sembra che il nuovo anno sia determinate per i cosiddetti “ex articolisti” nei  Comuni. 

Infatti, il via libera dell’Ars permetterebbe la stabilizzazione progressiva dei precari, ed anche enti locali della provincia di Agrigento come Joppolo GiancaxioSant’Angelo MuxaroSanta Elisabetta e Realmonte hanno avviato le procedure per dare serenità ai contrattisti.

Quest’ultimi lavoravano con contratti a tempo determinato da più di un ventennio. Per loro la legge varata dall’Ars a fine dicembre scorso prevede, oltre alla stabilizzazione progressiva, la possibilità di optare per il transito alla Resais, società partecipata dalla Regione. Ma avranno anche la possibilità di abbandonare il bacino, ad esempio trovando un altro lavoro, incassando un bonus pari a cinque anni di stipendio.

Ma, intanto. l’assessore regionale alla Funzione pubblicaLuisa Lantieri, ha fatto sapere ai sindaci che hanno avviato la stabilizzazione che “le proroghe non si possono avviare prima del 31 marzo“. Il piano prevede infatti che sia la Regione a farsi carico del costo del personale, ma per farlo deve conseguire dei risparmi.

Questo sarà possibile – spiega l’assessore regionale – avviando la mobilità di una parte del personale delle ex Province. Si tratta di lavoratori che saranno spostati verso altre amministrazioni e che alleggeriranno così la spesa della Regione ed a quel punto scatterà il piano delle stabilizzazioni, prima non sarà possibile“.

Comuni però hanno già pubblicato i bandi e adesso bisognerà capire se vanno ritirati o meno. Come un’opera o una narrazione drammatica, vedremo quale sarà l’epilogo.

“Dirty Training”, nuovo scandalo su formazione professionale: arrestato Paolo Genco (presidente Anfe)

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Dal 2010 al 2013 avrebbero percepito indebitamente coltre 53 milioni di contributi pubblici a carico della Regione siciliana e dell’Unione europea. Con questa accusa la Guardia di finanza di Trapani ha arrestato il rappresentante legale dell’Associazione nazionale famiglie emigrate (Anfe), Paolo Genco, e Baldassare Di Giovanni, entrambi di Palermo ed entrambi posti ai domiciliari. Il provvedimento, emesso dal Gip di Trapani su richiesta della locale Procura, ha disposto anche il sequestro di 41 beni immobili per un valore di circa 2 milioni di euro. Le indagini, svolte dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Trapani nel settore dei finanziamenti pubblici destinati alla formazione professionale, hanno permesso di far luce sul meccanismo della frode.

Paolo Genco
Paolo Genco

“Il responsabile dell’ente di formazione siciliano – spiegano le Fiamme gialle, in accordo con Di Giovanni, titolare della ‘General Informatic Center’ e della ‘Coreplast’, apparenti fornitori dell’Anfe, aveva rendicontato all’ente erogatore, con false fatture di acquisto, costi per beni e servizi mai effettivamente forniti”.

Il denaro utilizzato per giustificare il pagamento delle finte fatture di acquisto, ritornava nella disponibilità di Genco che avrebbe poi investito tali proventi nell’acquisto di numerosi immobili (molti dei quali oggi sottoposti a sequestro), formalmente intestati, in parte, a una società immobiliare, ‘La Fortezza’ (amministrata da Di Giovanni) e, in parte,   a una dipendente dell’Anfe, anch’essa coinvolta nella frode.

“Alcuni di questi immobili – spiegano dal Comando provinciale di Trapani della Guardia di finanza – venivano, inoltre, locati per finalità formative allo stesso Anfe con duplice illecito guadagno per i due”. Inoltre, per consentire alla ‘General Informatic Center’ di aggiudicarsi tutti i contratti di fornitura di beni e servizi, facendo apparire che la selezione era avvenuta sulla base del criterio dell’offerta più conveniente, l’Anfe avrebbe simulato indagini di mercato dirette alla selezione dei fornitori di materiale informatico, formando dei falsi preventivi di spesa, del tutto antieconomici, riconducibili ad altre società risultate però ignare o addirittura inesistenti. Al termine delle indagini, sono state complessivamente denunciate sei persone per concorso in truffa aggravata finalizzata all’indebita percezione di erogazioni pubbliche.

Agrigento, alla sbarra i boss del dopo Falsone e Gerlandino Messina

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MAFIA DEL NUOVO MILLENNIO

 

Alla sbarra i boss del dopo Falsone e Gerlandino Messina

 

La mafia a Montallegro? “Vincenzo Marrella (cl. ’55) al centro di tutto”

 

Un pentito controcorrente per scoprire gli assassini del padre

 

BLITZ “UP&DOWN”

 

La “principessa Rania” torna in libertà

 

GIUSTIZIA

 

Procura ricorre in Cassazione ‘Arnone deve tornare in carcere’

 

Residence per vip “Borgo Scala dei Turchi”: chiesto processo per dodici imputati

 

POLITICA

 

Niente referendum sull’articolo 18: respirano Renzi e il Pd

 

L’INTERVISTA

 

Parla il magnate Panchavaktra: “Sicilia può diventare piazza centrale del mondo”

 

Salvatore Sanfilippo: si scrive a Sciacca la storia di Agrigento

 

 

AKRAGAS

 

Akragas, uno spiraglio di luce: l’imprenditore Proto pronto ad investire nel club?

 

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Alla sbarra la mafia del dopo Falsone e Gerlandino Messina

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Cominciato nell’aula bunker del carcere Petrusa e subito rinviato per un intoppo procedurale il processo, rito ordinario, davanti al collegio di giudici della prima sezione penale presieduta da Giuseppe Melisenda Giambertoni, a carico di Antonino Abate, 29 anni, Carmelo Bruno, 47 anni, Vito Campisi, 45 anni, Roberto Carobene, 38 anni, Antonino Grimaldi, 55 anni, Stefano Marrella, 59 anni, Vincenzo Marrella, 41 anni, Vincenzo Marrella, 60 anni, Pasquale Schembri, 53 anni, Gaspare Nilo Secolonovo, 47 anni, Ciro Tornatore, 80 anni, e Francesco Tortorici, 36 anni, tutti rimasti coinvolti nell’inchiesta Icaro insieme ad altre 22 persone che hanno scelto di essere giudicati con rito diverso (abbreviato) ossia Antonino Tommaso Baroncelli, 40 anni, Domenico Bavetta, 34 anni, Giovanni Campo, 25 anni, Pietro Campo, 63 anni, Francesco Capizzi, 50 anni, Mauro Capizzi, 47 anni, Gioacchino Cimino, 61 anni, Domenico Cucina, 48 anni, Rocco D’Aloisio, 46 anni, Diego Grassadonia, 54 anni, Piero Guzzardo, 37 anni, Antonino Iacono, 61 anni, Gioacchino Iacono, 36 anni, Santo Interrante, 34 anni, Giacomo La Sala,  47 anni, Giuseppe Lo Pilato, 44 anni, Leonardo Marrella, 38 anni, Francesco Messina, 58 anni, Francesco Pavia, 35 anni, Giuseppe Picillo, 53 anni, Emanuele Riggio, 45 anni e Francesco Tarantino, 29 anni.

Gli imputati (difesi fra gli altri dagli avvocati Antonino Gaziano, Vincenza Gaziano, Giovanni Castronovo, Silvio Miceli, Salvatore Cusumano, Salvatore Pennica Salvatore Collura, Santo Lucia e Angelo Nicotra) sono accusati di avere fatto parte delle nuove famiglie mafiose dell’Agrigentino. L’indagine, svolta dalla Squadra mobile, ha disarticolato il nuovo organigramma mafioso di un’ampia zona della provincia di Agrigento. A partire da quella del capoluogo che sarebbe stata gestita da una vecchia conoscenza della mafia agrigentina.

Antonino Iacono, alias "U giardinisi"
Antonino Iacono, alias “U giardinisi”

Il nuovo capo sarebbe stato Antonino Iacono, 61 anni, detto da sempre “u giardinisi”, perché residente a Giardina Gallotti, che dopo avere scontato una condanna a 8 anni nel processo Akragas avrebbe continuato la sua scalata fino a diventare il capo (non senza qualche contrasto) della cosca del capoluogo.

 

Francesco Messina
Francesco Messina

La consorteria di Porto Empedocle, invece, sarebbe stata affidata a Francesco Messina, 58 anni, appartenente alla storica famiglia mafiosa che per tanti anni ha diretto Cosa Nostra. Gerlandino Messina, figlio di un cugino di Francesco, in particolare è stato l’ultimo superlatitante, arrestato il 23 ottobre del 2010 quando era arrivato al vertice di Cosa Nostra provinciale. L’indagine è stata diretta dai pubblici ministeri della Dda Rita Fulantelli, Emanuele Ravaglioli, Claudio Camilleri e Bruno Brucoli, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Scalia.

Le accuse ipotizzate sono: associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, detenzione illegale di armi e detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. L’inchiesta delineava la nuova geografia mafiosa della provincia di Agrigento alla luce degli ultimi sviluppi giudiziari che hanno determinato dei vuoti di potere da riempire. L’operazione è scattata in più fasi perché il Gip Giangaspare Camerini, in un primo momento, non ha accolto tutte le richieste del pm e ha rigettato diversi arresti. Il Tribunale del riesame prima e la Cassazione poi hanno, invece, fatto salire a oltre una ventina le misure cautelari.

Si tornerà in aula il prossimo 13 febbraio ma non in contrada Petrusa bensì nell’aula 7 del Tribunale di Agrigento così come disposto dal presidente Giuseppe Melisenda Giambertoni che ha anche fissato il calnedario delle udienze stilato sino al 17 novembre 2017.

La “n’drangheta” arriva nella Quisquina: manette per 4 imprenditori

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MAFIA DELLA MONTAGNA

 

La “n’drangheta” arriva anche nella Quisquina: manette per 4 imprenditori

 

Un cartello di imprese al servizio delle n’drine di Piromalli

 

MAFIA CHE CONTA

 

Pm Principato in Commissione antimafia: “Messina Denaro in Brasile” (Tuzzolino docet)

 

Calunniò l’avvocato Pennica: il pentito-star rinviato a giudizio

 

CRIMINALITA’ ECONOMICA

 

Intesa tra Procura, Gdf e Agenzia Entrate per lotta a evasione: primo caso in Italia

 

“Criminal drinks, eseguito mandato di arresto europeo

 

POLITICA

 

L’esempio del presidente Mattarella

 

L’INTERVISTA

 

Parla Ismaele La Vardera, il giornalista ribelle che sfida la politica

 

Hamel: “Ad Agrigento troppe urgenze restano in sospeso”

 

 

AKRAGAS

 

Akragas, la palla passa al campo: oggi sfida salvezza con la Reggina al “Granillo

 

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Pm Principato in Commissione antimafia: “Messina Denaro in Brasile” (Tuzzolino docet)

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“Messina Denaro è protetto da una rete massonica. Riteniamo che il boss abbia ormai rinunciato ad esercitare il suo governo mafioso sulla provincia di Trapani”. 

Marcello Viola e Maria Teresa Principato qui conil Questore di Trapani  Maurizio Agricola (archivio)
Marcello Viola e Maria Teresa Principato qui conil Questore di Trapani Maurizio Agricola (archivio)

A dirlo, secondo quanto è riportato da Antimafia2000 che riporta quanto scritto da La Repubblica, è il procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato, audita la scorsa settimana in Commissione antimafia. 

Tema dell’audizione, che nella sua interezza è stata ovviamente secretata, lo stato delle indagini sulla primula rossa di Castelvetrano.

È da ventiquattro anni che Matteo Messina Denaro ha fatto perdere le sue tracce.

Le forze di Polizia, carabinieri, Guardia di Finanza e Dia sono impegnate costantemente nella sua ricerca e in questi anni hanno fatto davvero terra bruciata attorno al superlatitante. Hanno arrestato familiari, fedelissimi, sequestrato beni, ma “Diabolik” (così è soprannominato) l’ha sempre fatta franca probabilmente anche grazie a quelle protezioni altolocate di cui ha parlato la Principato (che dal 24 marzo tornerà alla Procura nazionale antimafia con la scadenza del suo mandato a Palermo).

Nell’ultima audizione è entrata maggiormente nel dettaglio rispetto a quanto già riferito nel novembre 2016.

Una pista investigativa porterebbe ad una presenza del boss lontano dalla Sicilia, in Brasile, grazie ad una falsa identità. È in Sud America, dunque, che si sarebbe nascosto. Sarebbe stato visto in compagnia di una donna quarantenne e si farebbe chiamare signor Polizzi.

A parlare di Messina Denaro e delle sue protezioni è in particolare il collaboratore di giustizia agrigentino, Giuseppe Tuzzolino. Numerosi gli accertamenti compiuti su sua indicazione. Diversi mesi fa i poliziotti di New York, per conto della Procura di Palermo, si recarono in un appartamento alla ricerca di una cassaforte da lui indicata. All’interno vi sarebbero dovute essere delle fotografie recenti, contenute in un hard disk, del superlatitante di Castelvetrano. Grazie alle indicazioni del pentito venne trovato il locale, ed anche la cassaforte, ma di quel dispositivo non vi era più traccia. Misteri continui che ruotano attorno alla figura del padrino che ha raccolto “l’eredità” dei “Corleonesi”.

Misteri che si accompagnano a nuovi interrogativi.

Davvero il boss di Castelvetrano ha deciso di nascondersi lontano dal suo territorio? Davvero ha deciso di abbandonare la Sicilia a se stessa?

A dar retta ad alcune intercettazioni registrate nel 2009 sembrerebbe di sì. “Ma anche questo… che minchia fa? Un cazzo! Si fa solo la minchia sua… e scrusciu nun ci deve essere! – dicevano i boss – Arrestano i tuoi fratelli, le tue sorelle, i tuoi cognati e tu non ti muovi? Ma fai bordello! Minchia, svita a tutti… inc… inc… uscite tutti fuori sennò vi faccio saltare!”.

Anche Totò Riina, intercettato nel carcere “Opera” di Milano, in una delle sue chiacchierate con la “dama di compagnia” Alberto Lorusso, esprimeva chiari segni di insofferenza nei suoi riguardi: “A me dispiace dirlo questo… questo signor Messina (Matteo Messina Denaro. ndr) questo che fa il latitante che fa questi pali eolici, i pali della luce, se la potrebbe mettere nel culo la luce ci farebbe più figura se la mettesse nel culo la luce e se lo illuminasse, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi ma non si interessa…”. 

In quei colloqui “u curtu” parlava delle stragi compiute ma anche di quelle da compiere, indicando il bersaglio da colpire, ovvero il pm Nino Di Matteo.

L'architetto Giuseppe Tuzzolino
L’architetto Giuseppe Tuzzolino

Dunque, figura centrale dell’ultima vicenda che riguarda il boss latitante di Castelvetrano è ancora una volta l’architetto pentito agrigentino Giuseppe Tuzzolino che, pur acquisendo crediti sul fronte della caccia a Messina denaro subisce batoste da altri lidi come, ad esempio l’ultima, arrivata per mano del Pm della Dda Camilleri che lo ha trascinato a processo per calunnia e diffamazione ai danni dell’avvocato Salvatore Pennica.

Realmonte: gli incontri pericolosi del consigliere comunale (ex) con il boss Campo

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2MAFIA

Gli incontri pericolosi del consigliere comunale (ex) con il boss Pietro Campo

Processo Icaro e sorprese: Marrella, Grimaldi, Campo, “pacchianu” e “quello dei limoni”

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Akragas al difficile esame Foggia: “Non abbiamo nulla da perdere”

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Pentito Tuzzolino a valanga: ecco i massoni “deviati”; “Carmelo Vetro di Favara “Era la mia assicurazione sulla vita”

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Un interrogatorio fatto di notte.
Cominciato alle 22,55, in una località segreta, e terminato l’indomani poco dopo le 13,30. Era il 14 febbraio scorso, giorno di San Valentino, e davanti ai pubblici ministeri Salvatore Vella e Carlo Cinque della Procura della Repubblica di Agrigento, sedeva Giuseppe Tuzzolino (debitamente accompagnato e guardato a vista dalla scorta), l’architetto diventato collaboratore di giustizia dopo essere stato colto con le mani nella marmellata, e confessato una serie indicibile di truffe, compiute a Palma di Montechiaro a spese di ignari cittadini.
Tuzzolino “consegnava” false concessioni edilizie o false sanatorie mettendo su un meccanismo che voleva esportare anche altrove. Anzi, che ha esportato anche altrove, per sua stessa ammissione. E voleva farne un centro “d’eccellenza” anche a Lampedusa aiutato, afferma così, dai fratelli massonici.
Il suo verbale di interrogatorio, 39 pagine riassuntivo, 130 integrale, è gravido di nomi e cognomi, alcuni eccellenti, altri non pertinenti con l’indagine, altri ancora fuori ogni gioco da parecchio tempo. Tuzzolino è stato appositamente interrogato dai magistrati della Procura per far luce sulle malefatte di Lampedusa – che come è noto – vengono peraltro raccontate in un processo che è attualmente in corso e che ha tra gli imputati eccellenti l’ex sindaco di Lampedusa, Bernardino De Bartolmeis, descritto come assetato di denaro, e due fratelli di loggia: l’ingegnere licatese Giuseppe Gabriele chiamato “Il cassazionista” e l’architetto palmese Gioacchino Giancone.
Il lavoro investigativo è stato svolto dai finanzieri del col. Fabio Sava che da tempo indagano (indipendentemente dai fatti lampedusani) sulle logge massoniche deviate della provincia di Agrigento. Narra delle logge Garibaldi e Concordia nonché “La serenissima” ed Ermerte Trismegisto.
Nel documento giudiziario redatto lo scorso 14 febbraio compaiono due logge, la Garibaldi e la Concordia corredato da un elenco di nomi, fratelli di cazzuola e compasso.
Ed a Tuzzolino viene chiesto, oltre a raccontare le vicende lampedusane, di aggiornarne i quadri.
E mostrano un elenco di fotografie, 34 per l’esattezza, per sapere se sono conosciuti da pentito e che ruoli avrebbero svolto. Una sorta di gioco “ce l’ho o non ce l’ho” che ha fornito ulteriori indicazioni agli investigatori.
L’architetto pentito non disdegna di autoaccusarsi di episodi molto gravi, quali ad esempio, l’aver costretto Giancone e Gabriele a consegnargli soldi per migliaia di euro (Gabriele, dice Tuzzolino, aveva 13 mila euro in contanti in tasca) e per far ciò si è avvalso della “compagnia” di un feroce stiddaro di Palma di Montechiaro, Giuseppe Condello poi assassinato.
E non disdegnava di accompagnarsi con un mafioso – sostengono gli investigatori – quel Carmelo Vetro che Tuzzolino definisce cosi: “Carmelo è la mia garanzia in assoluto in tutto. Carmelo è la mia…, Carmelo per me era la… l’assicurazione sulla vita. Su tutto. La mia assicurazione personale, la mia polizza sulla vita”.
A pagina 3 del settimanale Grandangolo acquistabile on line vi raccontiamo tutto attraverso le parole di Giuseppe Tuzzolino.

Gli altri titoli:
MAFIA E MASSONERIA

L’architetto pentito spiega le logge massoniche deviate e regolari ed il malaffare

“Il sindaco di Lampedusa era assetato di denaro; Giuseppe Gabriele diceva: “Posso fare tutto”

Quelle foto “sospette” mostrate all’architetto – collaborante

Le logge “Garibaldi” e Concordia”

IL CASO

Suicidio assistito? Riflettere bene

POLITICA

Alfano annuncia fine di Ncd e pensa ad un progetto di centro che chiuda a Salvini ed apra a Fi

L’INTERVISTA

Capodicasa: “Qualcosa di sinistra in Sicilia”

Armao: “Formazione di qualità e ricerca per rilanciare il Mezzogiorno”

AKRAGAS

L’Akragas a caccia di punti salvezza nella tana della Fidelis Andria

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Gli incontri pericolosi del consigliere comunale (ex) con il boss Pietro Campo

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Dieci giorni fa il sostituto commissario della squadra mobile di Palermo, Giuseppe Baldagliacca nel corso della prima udienza del Processo “Icaro” che vede alla sbarra una ventina presunti mafiosi della provincia di Agrigento, aveva raccontato ai giudici della prima sezione penale, presieduti da Giuseppe Melisenda Giambertoni, fatti importanti. 

Ciro Tornatore, Pietro Campo, Vincenzo Marrella (1974)
Ciro Tornatore, Pietro Campo, Vincenzo Marrella (1974)

Sul banco degli imputati Antonino Abate, 29 anni, Carmelo Bruno, 47 anni, Vito Campisi, 45 anni, Roberto Carobene, 38 anni, Antonino Grimaldi, 55 anni, Stefano Marrella, 59 anni, Vincenzo Marrella, 41 anni, Vincenzo Marrella, 60 anni, Pasquale Schembri, 53 anni, Gaspare Nilo Secolonovo, 47 anni, Ciro Tornatore, 80 anni, e Francesco Tortorici, 36 anni.

Nello stralcio abbreviato dell’inchiesta ci sono altri ventidue imputati.

Badagliacca, in servizio alla Mobile di Palermo (si occupa dell’area agrigentina) aveva indagato, insieme ai colleghi della Squadra mobile di Agrigento, sui clan del Belice e della zona Montallegro, Siculiana, Realmonte e Cattolica Eraclea ed ha riferito ai giudici di tali investigazioni.

Sollecitato dal Pm della Dda, Claudio Camilleri, disse, ad esempio, che l’allora latitante boss Giuseppe Falsone aveva cacciato tutti quelli che gli avevano votato contro: “Chi aveva partecipato al summit per eleggere il suo rivale Maurizio Di Gati al vertice delle famiglie di Cosa Nostra agrigentina era stato messo fuori”. 

“Il 26 gennaio del 2012 – ha detto il sostituto commissario – parte formalmente l’indagine. In seguito ad alcune attività investigative arriva, infatti, un’indicazione precisa. Alcuni personaggi un tempo riconducibili al gruppo del boss Giuseppe Falsone erano tornati in azione nella zona del mandamento del Belice”. 

Poi parla di un consigliere comunale (oggi ex) di Realmonte che con la sua auto andava nell’ovile di Pietro Campo, ritenuto, in quegli anni, il capo della cupola mafiosa agrigentina.

Antonino Grimaldi
Antonino Grimaldi

Accompagnava uno degli odierni imputati, Antonino Grimaldi. Quest’ultimo, in altra circostanza, usando l’auto dell’ex consigliere comunale, da solo tornò dal boss di Santa Margherita Belice.

Vicenda inquietante, che non ha sortito – ad ora – sviluppi giudiziari. Ma che l’ordinanza “Icaro” ha tenuto bene in considerazione comparendo numerose volte tra le sue pagine.

La vicenda è sfuggita a tutti.

Ma merita di essere raccontata utilizzando le stesse pagine dell’ordinanza Icaro e i racconti del sostituto commissario Baldagliacca che espressamente fanno riferimento all’odierno ex consigliere comunale (di maggioranza) della Giunta Puccio di Realmonte, eletto nel 2010 (anzi: primo eletto in una lista civica) e che nel 2013 ebbe bruciata un’autovettura.

Si tratta di Fabio Bellomo, 48 anni, oggi non più consigliere comunale, piccolo imprenditore nato in Piemonte (Carignano, Torino)  ma da sempre residente a Realmonte.

Nell’inchiesta “Icaro” la sua figura emerge numerose volte e viene indicato dagli imputati come il “ragazzo dei limoni”.

Il suo nome viene associato a quello di Antonio Griumaldi e Vincenzo Marrella (cl. 74). E viene ritenuto amico dei “pacchiani” di Realmonte.

A proposito di Grimaldi, scrivono i giudici della Dda di Palermo arrivando a Bellomo:

L'ex consigliere comunale, Fabio Bellomo
L’ex consigliere comunale, Fabio Bellomo

Fattosi prestare l’auto dal “ragazzo dei limoni” (Fabio Bellomo) poco prima incontrato, la mattina del 21.06.2013 Antonino Grimaldi partiva da Montallegro in direzione di Santa Margherita Belice. Dall’esame delle immagini registrate afferenti l’ingresso dei capannoni di Contrada Gulfa, è stato notato l’arrivo dei due Campo alle ore 09.25 e la loro uscita alle ore 11.07. Grimaldi invece giungeva da solo ai capannoni di Contrada Gulfa, alla guida dell’Opel Zafira, permanendovi tra le ore 10.03 e le 10.56 e dopo la sua uscita dal complesso rurale non si rilevava alcun animale a bordo dell’auto.

Il medesimo ritornava a Cattolica Eraclea alle ore 12.02 e dalle registrazioni di conversazioni intercorse sulla Fiat Punto in uso alla moglie si sentiva la figlia di Grimaldi dire che il padre “era con la macchina di un altro”.

Dai dati di traffico telefonico dell’utenza intercettata di Antonino Grimaldi emergeva lo spegnimento del telefono dalle ore 10.10 alle ore 11.15 di quel giorno, segnale questo inequivoco della volontà di mantenere riservata la natura dell’incontro con i due Campo.

L’autovettura usata da Antonino Grimaldi risultava intestata ad una donna di San Cataldo mentre la copertura assicurativa era stata stipulata da Fabio Bellomo (poi riconosciuto attraverso la visione della foto del cartellino d’identità) con il quale Antonino Grimaldi aveva concordato un appuntamento poco prima delle ore 09.00.

Il giorno dopo (22.06.2013), sull’autovettura Opel Zafira venivano ancora notati a bordo Antonino Grimaldi e Fabio Bellomo, consigliere comunale di Realmonte.

In specie Grimaldi telefonava a Stefano Marrella per fissare un appuntamento in una località indicata come al “Canneto” e dai dati di traffico dell’utenza cellulare emergeva la reale presenza del primo a Montallegro; personale di polizia effettuava una contestuale ricognizione e lo rintracciava all’interno del “Bar Errera” di Montallegro mentre posteggiata nei pressi riscontrava la presenza l’Opel Zafira in uso a Fabio Bellomo.

Dalle registrazioni video presso il c.d. “Bar Errera” si notava, tra le ore 10.42 e le 10.54, l’Opel Zafira con a bordo, Bellomo, Grimaldi e Stefano Marrella.

Alle ore 11.08 Grimaldi in qualità di passeggero della Opel Zafira guidata da Bellomo, giungeva nel deposito di latte di contrada Balate ivi fermandosi per pochissimo tempo.

Al mattino del 28.06.2013, dall’analisi delle attività tecniche, si può affermare che nei pressi del bar sito in via Oreto a Cattolica Eraclea, avveniva l’ennesimo incontro tra Antonino Grimaldi, Stefano Marrella e Vincenzo Marrella cl.74.

Invero, i due Marrella si erano già incontrati alle 19.50 del precedente 27.06.2013 presso il Bar Errera, mentre al mattino successivo Vincenzo Marrella cl.74 telefonava allo zio Stefano per avvisarlo che Antonino Grimaldi li attendeva presso il bar di tale Teresa.

Antonino Grimaldi e Stefano Marrella si risentivano nel pomeriggio del 08.07.2013, momento in cui il primo contattava Marrella e gli chiedeva dove si trovasse per raggiungerlo. Quest’ultimo gli posticipava di un’ora l’appuntamento, in quanto in quel momento si trovava fuori sede con la moglie.

In effetti, alle successive ore 18.10, Grimaldi ricontattava Marrella e lo informava che lo stava attendendo “…all’abbeveratoio…” e Marrella lo tranquillizzava affermando di essere già nei pressi.

In primis occorre evidenziare che il 15.07.2013 che Grimaldi telefonava a Domenico Iacono per fissare, con un pretesto, un immediato incontro; infatti alle ore 18.30 chiamava Domenico Iacono, inteso pacchiano”, per preannunciargli che stava recandosi a Realmonte e con l’occasione gli avrebbe portato “quel cagnolo”; i due rimanevano d’accordo che si sarebbero risentiti più tardi.

Alle ore 19.47, diretti ad un ricevimento, sulla Fiat Punto monitorata si trovava l’intera famiglia di Grimaldi e quest’ultimo, ricontattato Domenico Iacono, fissava il punto d’incontro presso la sala trattenimenti “Madison” di Realmonte dove i due si vedevano in quella via dell’Autonomia Siciliana; dal mezzo di trasporto scendeva il solo Grimaldi, per risalirvi dopo circa 30 minuti.

Dall’intercettazione emergeva la certezza che sull’autovettura non vi era alcun animale ed anzi il figlio chiedeva notizie alla madre circa la motivazione della sosta in quel posto, ma la donna riferiva di non esserne a conoscenza; però dalla conversazione emergeva che Grimaldi stava incontrandosi con almeno due persone.

Invece il 16.07.2013 Antonino Grimaldi alle ore 09.07 chiamava telefonicamente Salvatore Taormina, a cui riferiva uno strano messaggio secondo cui: “la cane ha partorito, ne ha fatti otto ma sotto ne ha cinque”, quindi continuando diceva che ieri qualcuno lo aveva chiamato (riferendosi a Domenico Iacono ed alla supposta consegna del “cagnolo” del 15 luglio) e quindi Salvatore Taormina chiedeva se nel pomeriggio potevano fare un salto “là con Fabio” e Grimaldi acconsentiva.

Da un servizio di osservazione si notava all’ingresso di Cattolica Eraclea l’arrivo di una Golf Volkswagen con alla guida Salvatore Taormina in compagnia di Fabio Bellomo; da successive conversazioni telefoniche emergeva che l’incontro con Antonino Grimaldi era stato fissato in via Dubcek a Cattolica Eraclea.

Alle ore 18,31, a bordo della predetta autovettura, i tre giungevano alla masseria di Pietro Campo, in contrada Gulfa per uscirne dopo circa venti minuti.

Tra le altre precauzioni adottate dal Grimaldi per mantenere riservato l’incontro a Santa Margherita Belice, quella di lasciare il telefono cellulare a Cattolica Eraclea.

Nella successiva conversazione, , i due “compari” esplicitavano l’argomento trattato, ovvero la preoccupazione di Vincenzo Marrella cl.55 di essere scavalcato nel suo ruolo da Antonino Grimaldi, tanto da indurlo a chiedere chiarimenti ad altri personaggi, ma Grimaldi si giustificava sostenendo di non essersi mai intromesso nelle vicende di Montallegro limitandosi a gestire esclusivamente la zona di sua competenza e che se Vincenzo Marrella cl.55 aveva da lamentare qualcosa poteva farglielo presente direttamente.

Nel pomeriggio del 26.07.2013, come si riscontrava dalla localizzazione satellitare a bordo dell’autovettura Fiat Punto in uso Antonino Grimaldi, alle ore 16.09 circa la stessa risultava in sosta presso un appezzamento di terreno, nella disponibilità di Stefano Marrella, sito lungo una strada interna che collega Montallegro con Cattolica Eraclea.

Personale dipendente raggiungeva immediatamente la campagna de qua, rilevando la presenza della Fiat Punto nonché quella della Nissan Vanette, in uso a Stefano Marrella.

Alle successive ore 17.15 circa quel personale notava Marrella e Grimaldi uscire dalla fitta vegetazione per raggiungere le rispettive autovetture, constatando che quest’ultimo non recava al seguito alcun involucro né, tantomeno, agrumi in genere, diversamente a quanto detto nella telefonata della sera prima.

Come se non bastasse, il 30.07.2013 Antonino Grimaldi, ancora in compagnia di Fabio Bellomo, a bordo dell’autovettura Opel Zafira di quest’ultimo, giungeva dentro l’abitazione di Pietro Campo dove permaneva tra le ore 10.58 e le ore 12.05.

Contestualizzate all’incontro con Pietro Campo, le telefonate che di seguito si riassumono.

La prima delle ore 10.42 del 29.07.2013 attraverso la quale, con linguaggio convenzionale, Antonino Grimaldi fissava un appuntamento con Fabio Bellomo, per la mattina successiva manifestando l’esigenza di andare a vedere un generico terreno dove erano stati in passato.

Alle 08.55 del 30.07.2013, nel corso della telefonata Domenico Grimaldi riferiva al fratello Antonino Grimaldi che “c’era uno che si sarebbe fatto trovare da Filippo”; si richiamano a tal proposito le pregresse telefonate tra i due fratelli Grimaldi utilizzate solo per determinare incontri tra lo stesso Antonino e Mauro Capizzi.

Alle 09.07 Fabio Bellomo chiamava Grimaldi ed in sintesi lo avvisava di essere in procinto di partire e che sarebbe giunto 20 minuti dopo al bar; tale conversazione escludeva pertanto che fosse Bellomo ad attendere Grimaldi da “Filippo”.

Alle 09.33 Grimaldi provava a contattare Vincenzo Marrella cl.74, ma alle 09.43 era lo stesso Vincenzo cl.74 a chiamare Antonino Grimaldi e stabilire già l’appuntamento per la serata prossima.

La successiva telefonata veniva captata alle 09.58 durante la quale Grimaldi avvisava Putrino Salvatore, con un chiaro messaggio convenzionale, di essere in procinto di recarsi a Ribera.

Alle 10.47 Grimaldi chiamava Giovanni Campo alle 10.47 dicendo di “essere di passaggio” e l’altro, capita l’antifona, lo invitava a raggiungerlo a casa per un “caffè” .

Invece, Grimaldi e Bellomo giunti a casa di Pietro Campo vi permanevano tra le ore 10.58 e le ore 12.05.

Si rappresenta infine, l’ennesimo incontro di Antonino Grimaldi e Fabio Bellomo con CAMPO Pietro, a Santa Margherita Belice, il 01.11.2013.

I medesimi prima si accordavano telefonicamente per vedersi a Cattolica Eraclea e quando Antonino Grimaldi, messosi in viaggio si trovava già a Santa Margherita Belice chiamava Giovanni Campo per avvisarlo di essere in paese per “farsi dare quell’agnello”.

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Massoneria, il pentito Tuzzolino rincara la dose su Boccadutri e tira in ballo l’imprenditore Vella

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Via Vallicaldi, una rivoluzione culturale ….. a metà

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Era l’estate 2013 quando un gruppo di intraprendenti volontari, coordinati da diverse associazioni culturali e guidati idealmente e non solo da un ancora non assessore Beniamino Biondi, decise di accendere giustamente i riflettori su una porzione di Città dimenticata – per quasi mezzo secolo – dalle varie amministrazioni in primis ma – con pesanti responsabilità – anche dalla stessa comunità agrigentina: via Vallicaldi.


Via Vallicaldi Via Vallicaldi Via Vallicaldi Via Vallicaldi Via Vallicaldi Via Vallicaldi Via Vallicaldi Via Vallicaldi

 

Una “non zona” che comprende, oltre la Via Vallicaldi anche la via Gallo e la via Cannameli, divenuta nel corso degli anni un posto “da evitare”: degrado di ogni genere, architettura fatiscente, manutenzione inesistente. A questo si aggiunga una serie di case chiuse clandestine aperte fino a tarda notte e una fiorente attività di spaccio – accertata anche da diversi interventi delle forze dell’ordine – controllata direttamente da persone di nazionalità nordafricana che, proprio tra quelle vie, avevano creato la propria base . Insomma, un corposo elenco di elementi che – sommata ad una totale assenza di attenzione da parte delle amministrazioni che si sono susseguite, hanno fatto sì che quello scorcio di città fosse dimenticato da tutti.

Con una straordinaria opera di recupero, possibile solo grazie alla passione ed al sacrificio di tantissimi giovani e non, con non poche difficoltà ma con pragmatica efficienza la via Vallicaldi, improvvisamente, è stata consegnata alla città come – probabilmente – mai nessun agrigentino aveva visto: una riqualificazione attuata prima di tutto intervenendo sul decoro urbano: pitture,affreschi,murales hanno dato luce e vita alle sempre più degradate strutture; una grande opera di bonifica, grazie all’intervento di privati, ha potuto “ripulire” la zona da rifiuti di vario genere, erbacce alto mezzo metro, carcasse di animali. Il progetto, così come Beniamino Biondi affermava già nel 2014, era ambizioso: una riqualificazione culturale prima che urbana. L’idea era quella di rendere anzitutto vivibile quella porzione di terra, far tornare a camminare la gente tranquillamente e, possibilmente, renderla anche luogo di aggregazione, di cultura, di apertura. E, in effetti, per circa 18 mesi lo è anche stato. Sono state diverse le iniziative promosse in quel lasso di tempo: concerti, aperitivi, mostre fotografiche, esibizioni live. Tutto questo ha anche incuriosito diversi imprenditori che si sono interessati ad aprire attività commerciali in quella zona.

Poi, le elezioni. Ed è proprio dal maggio 2015, con la tornata elettorale che ha eletto Lillo Firetto con Beniamino Biondi assessore, che il destino (beffardamente) ha voluto far coincidere l’inizio di un rapido degrado di quelle zone. In effetti, proprio Biondi era stato uno degli artefici della “rinascita” di Via Vallicaldi.

Ma qualcosa non ha funzionato.

Dall’estate 2015, appunto, quel luogo simbolo di una rivoluzione culturale è ritornato ad essere una “non zona”: auto bruciate, carcasse di animali rimosse dopo settimane; non c’è più un evento, non c’è più alcuna forma di aggregazione e – di certo – nemmeno l’ombra di gente che abbia la benché minima voglia di trascorrere una serata da quelle parti. E su questo l’attuale amministrazione non è esente da colpe. Perché proprio nel momento di rinnovamento bisognava dare un segnale di rottura con il passato in cui troppe volte si è lasciato a metà un lavoro intrapreso. Ma questo, purtroppo, non è avvenuto. In ogni caso sarebbe ancora più ingenuo non vedere nella comunità agrigentina pesanti responsabilità: del resto,  rimanere indifferenti al degrado di un luogo in cui si vive, a maggior ragione se recuperato dopo quasi mezzo secolo di abbandono, è peccato originale.

Questa testata , con il sempre attento Diego Romeo, si è spesa anche in passato in favore di tale brillante idea di riqualificazione culturale e urbana. E saremo sempre dalla parte di chi – indifferentemente – spende anima e corpo, con energia positiva, nel tentare di rendere questa città un posto migliore.

Ma, questa volta, i riflettori li accendiamo noi affinché questa non rimanga – si spera – soltanto una rivoluzione … a metà.

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Massoneria, tutte le logge dell’agrigentino, i collegamenti con Favara e Palma gli affari in Romania; Tuzzolino pronto a graffiare

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Raddoppio Ss 640 Ag – Cl, pentito rivela: “Appalto pilotato e senza gara”

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Un lungo articolo-inchiesta de L’Espresso, firmato Giovanni Biondani e Giovanni Tizian dal titoloCosì la corruzione uccide: parla il primo pentito delle grandi opere” getta bruttissime ombre sull’imponente appalto della grande opera legata alla realizzazione della nuova Ss 640 il raddoppio della Agrigento – Caltanissetta.

Un lavoro mastodontico di primaria importanza fatto a pezzi dal primo pentito delle grandi opere descritto così dai due valenti giornalisti:

“L’indagine è stata chiamata «Amalgama»: è la parola usata dagli stessi indagati, mentre erano intercettati dai carabinieri del Nucleo investigativo di Roma, per descrivere l’evoluzione del malaffare.

Nella vecchia Tangentopoli la corruzione era diretta: buste di soldi in cambio di appalti d’oro. Oggi c’è una corruzione strutturata su almeno tre livelli, più difficile da scoprire. Il fulcro è ancora il controllore pubblico che favorisce una cupola di imprese privilegiate, che ora lo ripagano indirettamente, dividendo la torta con altre società private, attraverso subappalti, consulenze o compartecipazioni in apparenza regolari. Il trucco è che dietro queste aziende c’è lo stesso pubblico ufficiale, che le controlla segretamente tramite soci occulti.

Con questi giochi di sponda, le grandi imprese comprano il controllore-direttore dei lavori, che a quel punto non controlla più niente.

Il primo pentito delle grandi opere è Giampiero De Michelis, nato in Abruzzo 54 anni fa, ha guidato i lavori dell’Alta velocità, i cantieri infiniti dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e molti altri appalti, sempre con ruoli cruciali di “direttore dei lavori”: il primo e decisivo controllore pubblico delle imprese private.

Giampiero De Michelis
Giampiero De Michelis

In ottobre è finito nel carcere di Regina Coeli con la retata (31 arresti) che ha coinvolto anche manager di colossi come Salini-Impregilo e Condotte. In novembre De Michelis ha cominciato a vuotare il sacco con i magistrati di Roma e Genova. Il suo è un racconto nero, che svela intrecci spericolati e dagli anni Novanta arriva ai nostri giorni, coinvolgendo ministri, grandi imprenditori, progettisti eccellenti, figli di politici e burocrati, funzionari di altissimo livello dello Stato.

Quando è stato arrestato, De Michelis era il direttore dei lavori degli ultimi “macro-lotti” dell’autostrada Salerno-Reggio e della nuova Tav Milano-Genova.

I magistrati gli chiedono se conosca altre grandi opere inquinate dal malaffare.

La risposta è istantanea: «Il Brennero. Per i tunnel ferroviari di Aica e Mules, Perotti ha vinto la gara per la progettazione, mi pare nel 2008, con una falsa certificazione firmata dal manager Z. ex dirigente Fiat. Questo perché, per l’alta velocità Emilia-Toscana, il general contractor era il gruppo Fiat. Impregilo è nata dalla fusione tra Fiat-Impresit, Girola e Lodigiani».

Tre aziende travolte da Tangentopoli.

Il verbale integrale è discorsivo, De Michelis parla al presente storico: «Quindi l’ex manager Fiat gli fa questo certificato e lo manda a Impregilo. Io sapevo che la gara era finta: erano previsti certi requisiti che io come Sintel ero l’unico ad avere. Invece così vince Perotti, che ha dietro Incalza. Quindi Giandomenico Monorchio mi dice: “Adesso vado da Incalza con mio padre e vedo di ottenere qualcosa in cambio”. Infatti gli danno in cambio il progetto della Porto Empedocle in Sicilia, quello fatto dalla Cmc. Tolgono il lavoro a Perotti e lo danno a Sintel, senza gara, con affidamento diretto. E così Sintel non fa ricorso per i tunnel del Brennero».

La superstrada al centro del presunto baratto è un’opera strategica per la Sicilia: il raddoppio della Caltanissetta-Agrigento.

Va ricordato che in questo come in altri casi più gravi, De Michelis parla di appalti pubblici gestiti dalle imprese private senza alcun vincolo, grazie a una «norma criminogena», come viene definita nelle ordinanze d’arresto: un articolo della legge-obiettivo ha autorizzato le aziende controllate a scegliersi il controllore-direttore dei lavori (e a pagargli legalmente un ricco compenso).

Una norma-scandalo che ha trasformato le grandi opere in un festival dei conflitti d’interesse ed è stata abolita con il nuovo codice degli appalti sollecitato nel 2014 dall’autorità anti-corruzione. Proprio le scelte dei progettisti, controllori e subappaltatori permetterebbero ai privati, ieri come oggi, di agganciare i grandi protettori a livello di governo, che De Michelis definisce «santi in paradiso».

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Tuzzolino sotto torchio, tre giorni di interrogatori: indagini aperte su molti fronti

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Da Messina Denaro a Tuzzolino passando per l’assoluzione di Raffaele Lombardo

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Da Messina Denaro a Tuzzolino passando per l’assoluzione di Raffaele Lombardo

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La nuova mafia agrigentina riparte dalla dura sentenza “Nuova cupola”

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Ci sono troppi vuoti di potere e molte famiglie ancora senza un capo riconosciuto


La sentenza d’appello del processo “Nuova cupola” ha riservato mazzate per gli imputati, tredici in questo troncone che, a parte qualche eccezione, si sono visti inasprire le pene rispetto alla sentenza di primo grado. 

Questo il destino processuale deciso dai giudici della Corte d’appello, sezione IV, di Palermo: Francesco Ribisi, è stato condannato a 15 anni e 4 mesi di reclusione; Giovanni Tarallo che ha avuto 15 anni; Fabrizio Messina, boss di Porto Empedocle, sei anni; Natale Bianchi, nove anni 10 mesi e 20 giorni; Pietro Capraro, ha avuto 9 anni, due mesi e 20 giorni; Luca Cosentino, 10 anni e otto mesi; Otto anni per Antonino Gagliano, classe 1972; Giuseppe Infantino, 11 anni e otto mesi.

Francesco Ribisi - Giovanni Tarallo Leo Sutera e Fabrizio Messina

Riduzione di pena per Dario Giardina che ha avuto 5 anni e riduzione di multa per un imputato minore Lucio Francesco Vazzano, ottantanovenne di Ventimiglia di Sicilia. Confermata la sentenza di primo grado per Leo Sutera, (tre anni) e conferma assoluzione per Maurizio Rizzo, 43 anni, di Grotte e Gaspare Carapezza, 39 anni, di Porto Empedocle accusati di estorsione.

La notizie, nuda e cruda è questa: i nuovi organigrammi della mafia agrigentina sono stati veramente decapitati dai giudici della sezione quarta della Corte d’appello di Palermo con una sentenza che di fatto cancella il sogno di Leo Sutera coltivato per lungo tempo dopo la cattura dei boss Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina.

Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone
Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone

Niente ottavo mandamento, niente rinnovo dei vertici delle famiglie di Agrigento, Santa Elisabetta, Porto Empedocle, Palma di Montechiaro, Favara, Casteltermini e della zona della Valle del Belice.

Soprattutto niente controllo del territorio, degli affari illeciti, e della latitanza del capo dei capi, Matteo Messina Denaro.

Paradossalmente la sentenza rafforza le famiglie di Canicattì e Campobello di Licata uscite indenni dalle recenti retate antimafia ed anche quella di Favara, seppur parzialmente, che riesce sempre a galleggiare nel mare magnum di Cosa nostra agrigentina con le sue famiglie e famigliedde che hanno in qualche modo condizionato la vita mafiosa della Provincia.

La sentenza mette una pietra quasi tombale alle ambizioni del vecchio boss e dei suoi agguerriti “picciotti” emergenti. La batosta colpisce a morte Francesco Ribisi e Giovanni Tarallo indicati come i suoi luogotenente e che – leggendo gli atti del processo – avevano già mostrato come spregiudicati ed ambiziosi.

Non bisognerà ricominciare da capo nella lettura della situazione mafiosa ma certamente bisognerà ragionare diversamente. Troppe caselle sono rimaste scoperte nell’organigramma mafioso agrigentino, liberate prima dalle operazioni Icaro 1 e 2, “Triokola”, “Opuntia” e “Vultur”.

Cosa rimane sulla piazza? Di materiale per investigare ce n’è parecchio. E di intuizioni, gli investigatori agrigentini ne hanno avute già molte.

Lo ribadiamo: non si riparte dall’inizio ma bisogna fare in fretta a capire quali movimenti sono in atto per colmare questi vuoti di potere.

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Otto indagati per le truffe a Lampedusa: Tuzzolino inguaia i suoi vecchi amici

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Per il posto di aggiunto, lunga lista di candidati e nessuna certezza

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Giuseppe Zambito: Tutto da rifare tra Pd e Scissionisti

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360 minuti per evitare i playout: oggi all’Esseneto la Casertana

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Processo “Icaro”, la mafia ai tempi di Pietro Campo: quei summit svelati dalla Polizia; Il ruolo di Vincenzo Marrella (cl. 74): Infiltrato in Cosa nostra per scoprire gli assassini del padre

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Pasquale Spataro: I vecchi e i giovani di fronte alla politica

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Lega Pro, ultimi 270 minuti: Akragas ospite al San Vito di Cosenza

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Lega Pro, lotta salvezza incandescente: l’Akragas ospita la Juve Stabia
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The post Ville di lusso all’ombra della Scala dei turchi: quelle centinaia di concessioni rilasciate ai veri vip appeared first on grandangolo agrigento.

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